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mercoledì, 11 Dicembre 2024

Moria del kiwi: colpa anche della siccità

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Le ricerche sul possibile ruolo della siccità e del surriscaldamento nell’insorgenza della “moria del kiwi” hanno contribuito alla formulazione delle “Linee guida Moria del Kiwi – Protezione delle piante”, continuamente aggiornate sulla base dell’avanzamento delle conoscenze e grazie alle attività dell’apposito Gruppo di lavoro tecnico-scientifico, costituito dal MIPAAF nel 2020. Ci spiega il fenomeno il CREA-Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari.

La gravità dei danni prodotti all’agricoltura dai cambiamenti climatici è ormai un’evidenza pressante. Ciononostante, persino in quest’anno, che decorre alimentando l’inquietante percezione della catastrofe imminente, esiste ancora qualcuno che preferisce credere che il problema non sia attuale, ma riguarderà le generazioni future. 

L’Italia è il secondo produttore al mondo di kiwi dopo la Cina, con una produzione annua di 537.867 tonnellate e una superficie di 26.947 ettari per 9693 aziende agricole coinvolte (dati censimento agricoltura 2021). Proprio il kiwi in Italia potrebbe diventare la prima vittima del riscaldamento globale.  

La sintomatologia 

Da dieci anni è comparsa, partendo dal Nord Italia, una nuova sindrome che è stata chiamata “moria”, che si manifesta inizialmente con l’appassimento delle foglie, prosegue con un drastico o totale calo della produzione per poi evolvere rapidamente, portando al collassamento ed alla morte della pianta.  

Figura 2 – A sx radice sana, a dx radicemoria (Settore Fitosanitario Regione Piemonte)

I sintomi compaiono con i primi picchi di calore estivi, che negli ultimi anni sono diventati sempre più frequenti e intensi in particolare nelle regioni del Nord Italia: quando la temperatura impenna e quindi la richiesta traspirativa cresce bruscamente, sembra che la pianta non riesca a far arrivare l’acqua dalle radici alle foglie, neppure se nel suolo ce n’è a sufficienza; il risultato è che rapidamente le foglie si surriscaldano, appassiscono e si disseccano. 

L’apparato radicale delle piante colpite è poco sviluppato ed ha un aspetto marcescente. Ciò ha indotto a cercare la causa in microrganismi fitopatogeni del suolo, ma ad oggi, nonostante siano stati numerosissimi gli studi condotti per individuarli, sono stati trovati nelle radici soltanto microrganismi cosiddetti “opportunisti”, che creano danni alla pianta solo se già fortemente debilitata. 

Un fenomeno analogo alla moria era comparso negli anni ‘80 in Nuova Zelanda, a seguito di un ciclone che aveva causato la sommersione per più giorni consecutivi della maggior parte delle piantagioni. Studi condotti a quell’epoca hanno rivelato caratteristiche fisiologiche ed anatomiche peculiari del kiwi: un notevole fabbisogno di acqua, ma anche una grande sensibilità alla carenza di ossigeno nelle radici che, se restano sommerse dall’acqua per periodi anche brevi, subiscono danni irreversibili.  

Habitat naturale dell’Actinidia 

La pianta del kiwi è una liana, che cresce con tralci lunghi e flessibili, arrampicandosi sui fusti di piante arboree o in cespugli, caratterizzata da foglie molto larghe e traspirazione intensa. È originaria della Cina, dove cresce spontaneamente in aree collinari o montane, in zone boschive, umide e ombreggiate, sulle rive di canali o vicino a sorgenti. In generale, richiede climi umidi, con piovosità abbondante e ben distribuita nella stagione vegetativa, inverni freddi, lunghi periodi di crescita senza gelate, esposizione a luce solare moderata e protezione dal vento. Rifugge le superfici molto esposte e le cime delle colline. La varietà Hayward, la più coltivata in Italia, preferisce climi più freschi e altitudini maggiori rispetto ad altre varietà e specie di Actinidia.  

Quindi l’irrigazione del kiwi è molto difficile, perché se da una parte ha molto bisogno di acqua, dall’altra, però, occorre assicurarsi di dargliela nel modo giusto. Nelle zone colpite da moria si è dedicato molto impegno per trovare il modo ottimale di gestire l’acqua ed il suolo con pratiche agronomiche adeguate, correggendo eventualmente i danni di una conduzione agronomica degli anni precedenti non abbastanza attenta; ciononostante, la sindrome ha continuato a diffondersi, raggiungendo ora anche regioni centro-meridionali come il Lazio e la Calabria. Nel 2020 si stimava che le superfici colpite in Italia fossero più del 25%, in particolare in Veneto (80%), Piemonte (60%) e Friuli Venezia-Giulia (10%). In Piemonte, la produzione 2020 era di 65751 tonnellate per 4139 ettari di superficie e 1979 aziende agricole, per un valore corrispondente a 51.230.000 euro. Il kiwi è una coltura redditizia: viene pagato all’agricoltore circa 0,78 €/kg, ed anche per l’indotto i margini sono notevoli. È quindi facile comprendere il motivo della preoccupazione degli operatori di questo settore, che ha già subito un forte danno,  destinato oltretutto ad aggravarsi ulteriormente, non essendo ancora stata identificata una strategia certa per un’inversione di tendenza.  

La ricerca scientifica sulla “Moria del kiwi”  

Dal 2017 la Regione Piemonte ha finanziato un programma di ricerca nel quale si è presa in considerazione la concorrenza dei fattori climatici con altri fattori ambientali ed agronomici nel determinare la comparsa e l’aggravamento della sindrome della moria. Ciò è stato realizzato grazie all’intervento propositivo della dr.ssa Chiara Morone (del Servizio Fitosanitario Regionale), fermamente convinta dell’importanza della componente climatica e fautrice di un approccio fisiopatologico al problema. Con un lavoro di monitoraggio affiancato alla ricerca è stato possibile identificare come e perché le alte temperature, in particolare nei picchi estivi, causino l’insorgenza della sindrome, alterando la fisiologia della pianta e impedendo la produzione di radici ben sviluppate e funzionali. In particolare, quando il suolo si surriscalda, le radici smettono di crescere e si ha uno sviluppo sproporzionato della parte aerea. Inoltre, la radici subiscono danni che si ripercuotono anche sull’anno successivo, impedendo la ripresa dopo l’inverno.  

Figura 3 – Rilievi condotti in campo sulla fisiologia del kiwi (CREA IT)

L’aumento delle temperature ha un effetto non soltanto diretto, ma anche indiretto, in quanto, al crescere della temperatura, aumenta anche il cosiddetto Deficit di Pressione di Vapore (Vapor Pressure Deficit, VPD). 

Vapor Pressure Deficit (VPD) 

La quantità massima di acqua che l’aria può contenere come vapore (“pressione di vapore a saturazione”) cresce esponenzialmente in funzione della temperatura. Con il riscaldamento globale la pressione di vapore a saturazione è cresciuta, mentre la quantità di acqua realmente presente nell’aria in forma di vapore (“pressione di vapore reale”) non è cresciuta in modo proporzionale. Di conseguenza, si è accentuato via via sempre di più il divario fra questi due valori (quello teorico e quello reale) che viene chiamato “deficit di pressione di vapore” (VPD) e che determina la forza disidratante dell’aria nei confronti di tutti i materiali e le superfici con cui viene a contatto.  Un alto VPD a livello locale, condizionato dall’umidità ambientale, determina un forte stress idrico per le piante, richiamando acqua sia dalle foglie che dal suolo. 


Se al riscaldamento globale si aggiunge la carenza idrica causata dalla siccità, si determina una situazione che per le piante coltivate non può che essere devastante. Piante diverse in natura sviluppano sistemi diversi di adattamento all’ambiente che le circonda. Rispetto allo stress da carenza idrica, ci sono piante che si adattano in modo più efficiente di altre. Il kiwi, che appartiene al gruppo delle piante cosiddette “anisoidriche”, ha dei sistemi che sono fra quelli meno efficaci per affrontare situazioni di emergenza dovute a bruschi innalzamenti della temperatura e del VPD; per questo motivo le piante di kiwi non sopravvivono ai cosiddetti “eventi estremi” di questi ultimi anni, soprattutto se già indebolite da altre avversità come la batteriosi ed anche se già acclimatate in ambienti abitualmente caldi e siccitosi.  

Le ricerche condotte in Piemonte sul possibile ruolo della siccità e del surriscaldamento nell’insorgenza della moria del kiwi hanno contribuito alla formulazione delle “Linee guida “Moria del kiwi”” pubblicate sul portale del Servizio Fitosanitario Nazionale e consultabili al link Moria del Kiwi – Protezione delle piante, continuamente in aggiornamento sulla base dell’avanzamento delle conoscenze e grazie alle attività del Gruppo di lavoro tecnico-scientifico “Moria del kiwi” del Comitato Fitosanitario Nazionale, costituito dal MIPAAF nel 2020 e coordinato dal dr. Michele Ghezzi (MIPAAF) e dalla dr.ssa Chiara Morone (Regione Piemonte). 

I progetti in cui è attivo il CREA-Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari in Piemonte 

Con il gruppo di lavoro formato da Laura Bardi, Mauro Solomita, Stefano Monaco, Claudio Mandalà e Carmela Anna Migliori, il CREA-Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari di Torino partecipa ai progetti finanziati dalla Regione Piemonte, Direzione Agricoltura, Settore Servizi di sviluppo e controlli per l’Agricoltura, Programma Regionale Ricerca e Sperimentazione Agricola 2017-2019, coordinati da AGRION – Fondazione per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura piemontese, con la supervisione del Settore Fitosanitario Regionale. 

Progetto KIMOR  (2017-2019)  

In un impianto sperimentale realizzato in una delle zone più colpite sono stati presi in esame vari sistemi e prodotti (baulatura, compostaggio, portinnesti, inoculo nel suolo di consorzi microbici, zeoliti, fitostimolanti ed osmoprotettori) con l’obiettivo di studiare il fenomeno e di valutare possibili interventi per prevenire e/o ridurre l’incidenza della sindrome. Alcuni interventi hanno mostrato effetti blandamente positivi, altri variabili (talvolta positivi, talvolta negativi), ma nessuno ha impedito l’insorgenza dei sintomi della moria. Lo studio delle piante correlato con i parametri climatici ha consentito di giungere alla conclusione che i picchi di temperatura estiva e l’elevato deficit di pressione di vapore sono la causa principale di un grave squilibrio metabolico, fisiologico e nutrizionale, con un effetto progressivo e cumulativo da un anno all’altro. In annate con alte temperature e siccità grave neppure l’irrigazione condotta con precisione con i sistemi più comunemente utilizzati può salvare la pianta. 

Progetto KIRIS (2021-2023)  

Grazie alle nuove conoscenze acquisite con il progetto KIMOR sono state allestite prove di campo per valutare altri possibili interventi agronomici, come l’irrigazione climatizzante – per proteggere sia le foglie che il suolo dalla siccità e dagli eccessi termici estivi – e l’ombreggiamento, indagandone l’effetto di protezione e simulando le condizioni ambientali dell’habitat naturale del kiwi. Si continua inoltre il monitoraggio anche mediante sensoristica per identificare, nelle piante e nell’ambiente, parametri utili per prevenire l’insorgenza della sindrome. 

Laura Bardi
Dirigente di Ricerca
CREA Centro di ricerca Ingegneria e Trasformazioni agroalimentari

Le sue principali aree di ricerca sono la sostenibilità ambientale delle coltivazioni, la produzione di energie rinnovabili da scarti agricoli con biotecnologie microbiche, l’impatto dei sistemi agricoli sulle emissioni di gas serra, la resilienza delle piante coltivate al cambiamento climatico.

#lafrase Ignorance more frequently begets confidence than does knowledge (Charles Darwin)

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