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venerdì, 29 Marzo 2024

Prendersi cura del suolo in viticoltura

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Ricoprendo circa 7,3 milioni di ettari, il settore viticolo necessita, più di altri settori, di tecniche di gestione sostenibile del suolo. Questo non solo per l’indubbio beneficio ecologico-ambientale, ma perché il miglioramento dello stato di salute del suolo e dell’attività radicale ha ricadute importanti sulle proprietà delle uve, fermo restando la corretta scelta e gestione delle essenze in relazione alle caratteristiche pedoclimatiche delle aree vitate.

L’importanza del suolo è stata sancita dall’ONU che dichiarò il 2015 “Anno Internazionale dei Suoli” allo scopo di sensibilizzare e promuovere un uso sostenibile di tale risorsa. Nelle parole dell’allora Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva se ne coglieva l’importanza quando affermava che “suoli sani sono fondamentali per la produzione mondiale di cibo, ma che non prestiamo abbastanza attenzione a questo importante e silenzioso alleato“.

Di fronte a una continua crescita della popolazione mondiale, ci si rende conto che sarà necessario un aumento del 60% della produzione alimentare, motivo per cui è fondamentale un uso razionale e sostenibile del suolo, riducendone ed eliminandone le condizioni di degrado e le pressioni antropiche.  La FAO ha, infatti, stimato che un terzo dei terreni mondiali sono degradati, a causa dell’erosione, della compattazione, dell’impermeabilizzazione, della salinizzazione, della perdita di sostanza organica e di nutrienti, dell’acidificazione, dell’inquinamento e di altri processi causati da pratiche insostenibili di gestione (FAO, 2015). 

Nello specifico, esaminando il settore viticolo, i dati del 2020  (OIV, 2021) stimano  la superficie vitata – ossia la superficie totale a vigneto nelle diverse destinazioni d’uso (vino e succhi, uva da tavola e uva passa), compresi i nuovi impianti non ancora in produzione – in circa 7,3 milioni di ettari, per cui le tecniche di gestione del suolo in viticoltura assumono particolare rilevanza per l’impatto che ne deriva.  

Gli obiettivi  di queste ultime possono essere brevemente sintetizzati in: 

  • controllo delle erbe spontanee (competizione idrico-nutrizionale, allelopatie, ecc.); 
  • raggiungimento della giusta porosità del terreno (rapporto particelle/spazi vuoti e rapporto aria/acqua) per ottenere l’habitat ideale per microorganismi e apparati radicali (benessere radicale); 
  • riduzione delle azioni negative sulla struttura del terreno a seguito di compattamento da mezzi meccanici;  
  • riduzione dei fenomeni di erosione del suolo; 
  • mantenimento di un adeguato contenuto in sostanza organica, favorendo l’umificazione e il miglioramento della struttura del terreno. 

Lavorazione meccanica, diserbo chimico, inerbimento controllato, sovescio e pacciamatura costituiscono i principali metodi di gestione del suolo in viticoltura.  

Le lavorazioni del suolo sono maggiormente adottate negli ambienti a clima caldo-arido,  perché l’eliminazione delle erbe spontanee consente un adeguato utilizzo delle risorse idriche e nutrizionali e l’interruzione della risalita di acqua dagli strati profondi limitando i processi di evaporazione dell’acqua. 

L’eliminazione delle erbe spontanee viene effettuata con mezzi meccanici in periodi differenziati con 3-10 interventi l’anno (fine inverno-inizio primavera-estate-autunno) in rapporto alla pluviometria della zona, forma di allevamento, etc. 

E’ comunque noto che le ripetute lavorazioni determinano conseguenze negative, quali una rapida ossidazione della sostanza organica, la formazione di suola di lavorazione, il deterioramento della struttura, fenomeni di compattazione, riduzione della porosità e della permeabilità con conseguente riduzione della fertilità del suolo, incremento dei fenomeni di perdita per lisciviazione dei nitrati, eccessi vegetativi e produttivi, insorgenza di fisiopatie da squilibri nutrizionali, riduzione della fertilità biologica. Pertanto, a livello comunitario sono state raccomandate pratiche più sostenibili di gestione del suolo quali l’inerbimento controllato, previsto nei primi regolamenti Comunitari di Agricoltura Biologica (Reg. CEE 2092/91) e di Agricoltura Integrata (Reg. CEE 2078/92), come metodo ecologicamente idoneo alla protezione del suolo. 

In tale contesto, le tecniche di inerbimento (“cover crops”) stanno assumendo un ruolo di primo piano in termini di eco-sostenibilità del sistema produttivo viticolo nazionale. La consociazione “vite-prato” presenta diversi vantaggi: miglioramento della fertilità biologica del suolo, riduzione dei fenomeni di ruscellamento superficiale delle acque e di erosione del suolo, miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche del terreno, aumento del contenuto di sostanza organica,  trasferimento  in profondità degli elementi minerali poco mobili, miglioramento dell’accessibilità dei mezzi meccanici per la maggiore portanza del suolo inerbito, riduzione dell’evaporazione dalla superficie, miglioramento delle caratteristiche idrologiche del suolo, riduzione della temperatura e delle sue fluttuazioni, regolazione dei processi di crescita della vite e del suo vigore con effetti sulla qualità e sulla quantità di uva prodotta. 
Tra gli svantaggi sono da menzionare la competizione idrico-nutrizionale, in particolare nel periodo estivo nel caso di inerbimento permanente con specie particolarmente competitive. 

Vigneto ad uva da vino con interfila inerbita e interfila lavorata

L’inerbimento, sia spontaneo che artificiale, di norma provoca nei primi anni, rispetto alle tradizionali lavorazioni, una riduzione della produzione della vite, talvolta abbinata ad aumenti nella gradazione zuccherina. Gli aumenti del grado zuccherino sembrano in gran parte dipendere dalla diminuita produzione, mentre le deficienze di maturazione, talvolta notate su suolo inerbito, sembrano dovute alle condizioni di carenza idrica della vite, a causa della concorrenza con le specie erbacee.

Gli effetti negativi della competizione idrico-nutrizionale del prato, vanno comunque riconsiderati in quanto il cotico erboso, con il rilascio dei residui del taglio, non sottrae macro e microelementi, ma li disloca diversamente negli strati del suolo e che i mm di evaporazione di un terreno nudo assumono valori non molto diversi da quelli di un cotico erboso adatto (ad esempio graminacee microterme con stasi vegetativa estiva). Le principali caratteristiche dei miscugli per l’inerbimento possono essere sintetizzate in: facilità e rapidità di insediamento, resistenza al calpestamento e alla colonizzazione di flora spontanea, basse esigenze di sfalcio, media produzione di biomassa, bassa competività idrica e nutrizionale.

Abbiamo condotto una ricerca su viti di Sangiovese (forma di allevamento a controspalliera con potatura a cordone speronato) in ambiente caldo-arido (agro di S. Severo, FG), in cui abbiamo confrontato  due metodi di gestione del suolo: la lavorazione e due tecniche di inerbimento artificiale di parte dell’interfilare, ossia quello permanente con miscuglio commerciale di graminacee e leguminose (festuca arundinacea cv Villageoise, loglietto cv Belida, coda di topo cv Bart,  ginestrino cv Upstart e trifoglio bianco cv Huja)  e quello temporaneo con trifoglio sotterraneo (Trifolium brachycalicinum cv Antas, autoriseminante, con stasi vegetativa estiva). I risultati hanno evidenziato che la concentrazione di polifenoli e antociani totali nelle bucce per chilogrammo d’uva (in sintesi le sostanze coloranti e antiossidanti) ha raggiunto valori più elevati nelle tesi inerbite, con incremento, rispetto alla tesi lavorata, del 31 e 36 % per i polifenoli e del 21 e 41 % per gli antociani rispettivamente nelle tesi con trifoglio sotterraneo e nel miscuglio di graminacee e leguminose.

In relazione agli effetti degli inerbimenti sul suolo le analisi del suolo effettuate all’inizio della ricerca e al termine del triennio hanno evidenziato un incremento del contenuto di azoto totale (+18%) e di sostanza organica (+33%) del suolo.

Coltura di brassicacee per sovescio in vigneto ad uva da vino 

Limitata diffusione in viticoltura hanno avuto le tecniche di pacciamatura con utilizzo di film plastico nero (PE) o di tessuto geotessile a lunga durata o di materiale biodegradabile lungo la fila. 

I vantaggi sono comunque molteplici quali:

  • completa inibizione dello sviluppo e della competizione radicale delle essenze spontanee,  
  • limitazione delle perdite di acqua dal terreno per evaporazione,  
  • rapido e maggiore sviluppo delle viti,  
  • eliminazione delle lavorazioni lungo la fila.

Nei terreni salmastri, la pacciamatura impedisce la risalita per capillarità dei sali evitando tossicità alle giovani viti e consente la riduzione dell’erosione nei terreni declivi e privi di struttura. Gli svantaggi sono dovuti ai costi del telo e della posa (tempi di lavoro, macchine e oneri di recupero del materiale). Tuttavia, negli ultimi anni e su nuovi impianti di vigneti, si vanno diffondendo sistemi di pacciamatura con materiali biodegradabili e compostabili, ottenuti da diverse materie rinnovabili (come residui di diverse coltivazioni come mais, altri cereali, patata, olii vegetali, etc.), che presentano il grande vantaggio di eliminare il problema economico ed ambientale dello smaltimento a fine utilizzo.

In sintesi, la gestione del suolo in viticoltura mira ad abbinare vantaggi di ordine ecologico-ambientale, migliorando lo stato di salute del suolo e l’attività radicale con effetti molteplici sulle caratteristiche delle uve, fermo restando la corretta scelta e gestione delle essenze in relazione alle caratteristiche pedoclimatiche delle aree vitate.

Luigi Tarricone, Primo Ricercatore 
Centro Ricerca Viticoltura ed Enologia

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Gli uomini discutono, la Natura agisce (Voltaire) 

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