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Il consumo di suolo: il rapporto ISPRA. Intervista a Michele Munafò, dirigente di ricerca Ispra

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Il consumo di suolo, risorsa essenziale, fragile e soprattutto non rinnovabile, in Italia non mostra segnali di rallentamento, anzi. Neanche nel 2020, nonostante il lockdown, si è fermato, registrando una velocità di copertura artificiale di 2 mq al secondo, quasi 60 chilometri quadrati di colate di cemento e il 7,11% di territorio nazionale impermeabilizzato. Questi i dati contenuti nell’ultimo Rapporto ISPRA sul “Consumo di Suolo in Italia”. Quanto è preoccupante la situazione? Ne parliamo con Michele Munafò, dirigente di ricerca dell’ISPRA. 

1. Quanto è forte il fenomeno in Italia? Quali le Regioni più colpite?  

Per fornire un quadro dell’evoluzione del fenomeno sul territorio nazionale, è utile precisare che il sistema di monitoraggio di ISPRA e del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA), in linea con gli obiettivi globali, comunitari e nazionali, definisce diverse forme di consumo di suolo, alle quali corrispondono diversi impatti sulla perdita di questa limitata e preziosissima risorsa ambientale. Sulla base degli ultimi dati disponibili, il consumo di suolo in Italia continua a trasformare il territorio con velocità elevate, con un incremento che rimane in linea con quelli rilevati nel recente passato, causando la perdita di aree naturali e agricole. Tali superfici sono sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.  

Immagine 1. Suolo consumato a livello comunale (% 2020). Fonte: ISPRA-SNPA 2021

In riferimento alla ripartizione geografica, la dimensione del fenomeno è più importante al Nord con oltre 10.000 km² di superfici artificiali rispetto al totale di 21.400 km2 a livello nazionale, di cui quasi 2.900 solo in Lombardia che, tra l’altro, è anche la regione che quest’anno registra l’incremento maggiore, pari a 765 ettari in più. Seguono il Veneto (+682 ettari) e il Piemonte (+439 ettari). Il Nord è anche l’area geografica più interessata dal consumo dovuto alla realizzazione di nuovi poli logistici, con le maggiori trasformazioni registrate in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Al Centro e al Sud le regioni che hanno consumato più suolo tra il 2019 e il 2020 sono il Lazio e la Puglia, rispettivamente con +493 ettari e +431 ettari l’anno. 

Nel caso in cui si dovesse confermare questo trend, si stima che tra il 2020 e il 2050 il nuovo consumo interesserebbe ulteriori 1.552 km² di suolo. Va inoltre ricordato che può considerarsi utile il 68% della superficie nazionale, di questo il 9,15% pari a 47,3 km² è già stato consumato. Questa richiesta di suolo non trova giustificazione neppure osservando il trend demografico. Spesso si verifica in presenza di stabilizzazione o addirittura decrescita della popolazione residente. I dati dimostrano come siamo ancora molto lontani dal raggiungimento degli obiettivi europei di azzerare il consumo di suolo netto e di quelli di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che prevedono, entro il 2030, di arrestare il degrado del suolo e di non consumare suolo in assenza di crescita demografica.  

Immagine 2. Un esempio di consumo di suolo a Mesero (Milano) per la realizzazione di un polo logistico di 4,9 ettari. Sopra l’immagine satellitare dell’area prima dell’inizio dei lavori (2019), sotto la stessa area nel 2020. Fonte: ISPRA-SNPA 2021 

2. Quali tipologie di aree sono le più interessate? Riguarda anche aree naturali protette?  

Immagine 3. Suolo consumato in percentuale nelle aree protette. Fonte: ISPRA-SNPA 2021

La riduzione di suoli permeabili è dovuta prevalentemente alla costruzione di nuovi edifici, fabbricati e insediamenti che, come confermano i dati dell’ultimo monitoraggio, si è concentrata nelle aree maggiormente accessibili del Paese, ovvero, lungo la fascia costiera entro un chilometro dal mare, nelle aree di pianura e nei fondivalle fluviali dove il suolo è più fertile. E ancora, nelle zone urbane e periurbane dei principali poli e dei comuni di cintura, a scapito delle aree residuali agricole e naturali rimaste intercluse nel tessuto urbano e più appetibili sul mercato immobiliare. Si stima che quasi la metà della perdita si concentri all’interno delle aree urbane e periurbane, andando a impattare irreversibilmente su una risorsa preziosa per migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici e per garantire una buona qualità della vita. Le trasformazioni non hanno risparmiato neanche le aree naturali protette, anche se, fortunatamente, in misura significativamente inferiore rispetto al resto del territorio. Nelle aree protette l’1,9% della superficie complessiva risulta consumata, con picchi in Liguria (4,2%) e in Campania (3,8%) ed un incremento, nell’ultimo anno, di 65 ettari dei quali 25 e 6 si concentrano nelle aree protette del Lazio e dell’Abruzzo.  

Immagine che contiene testo, palazzo

Descrizione generata automaticamenteImmagine 4. Costruzione di un nuovo edificio a destinazione commerciale nel Comune di Rossano Veneto (VI) in un’area complessiva di 18.000 m2 di cantiere, di cui 3.700 occupati da edifici (immagine 2018 in alto, 2020 in basso). Fonte: ISPRA-SNPA 2021 

3. Come si ripercuote sulle aree a rischio sismico e idrogeologico? 

Le caratteristiche morfologiche e pedologiche dell’Italiadescrivono un territorio intrinsecamente fragile ma, se osservate in termini di qualità delle produzioni agricole e di pregio paesaggistico, fanno sì che diventino un’eccellenza per il nostro Paese. Tuttavia, nel lungo periodo, l’espansione insediativa e le grandi infrastrutture hanno esercitato una forte pressione su aree naturali e seminaturali riducendone le dimensioni, frammentando lo spazio aperto, bloccando la continuità delle reti ecologiche e la capacità delle stesse di fornire servizi ecosistemici in grado di mitigare i cambiamenti climatici in atto. L’impermeabilizzazione del suolo e la riduzione degli spazi naturali lungo la rete idrografica privano i territori della capacità naturale di resistere agli eventi meteorici estremi. Una tendenza che non accenna ad arrestarsi. Tra il 2019 e il 2020 sono stati sigillati ulteriori 767 ettari in aree a pericolosità idraulica media, di cui 346 in Emilia-Romagna, facendo salire il valore percentuale di superfici artificiali nelle aree a pericolosità idraulica media al 9,3%. Preoccupante è anche il risultato ottenuto dall’analisi del consumo di suolo nelle aree a pericolosità da frana, che mostrano un incremento di superfici artificiali pari a 285 ettari, di cui 62 in aree a pericolosità elevata. La copertura artificiale del suolo continua ad estendersi anche nelle aree a pericolosità sismica, dove è cresciuta di ulteriori 1.852 ettari rispetto al 2019. 

4. Il consumo di suolo provoca trasformazioni del patrimonio paesaggistico, storico-artistico e naturale. In aggiunta alla riduzione della superficie degli ambienti naturali e semi naturali, quali sono le conseguenze?  

Molti cambiamenti di uso del suolo sono dovuti a processi di espansione urbana che hanno inglobato ambiti di fragilità idrogeomorfologica, aumentando la pericolosità, il rischio e i fenomeni di dissesto. Hanno compromesso la funzionalità di diverse tipologie di suolo a cui corrispondono qualità e capacità diverse di fornire servizi ecosistemici e di supportare la biodiversità. Il consumo di suolo contribuisce alla riduzione di tali capacità, ma anche alla perdita delle qualità del paesaggio, in particolare con l’attitudine a estendere e a rompere i margini della città consolidata, disperdendosi nel territorio rurale. Uno sviluppo del tessuto insediativo che tende a generare nuove infrastrutture lineari e, lungo le direttrici principali, modelli a bassa densità, spesso interessando ambiti di pregio paesaggistico. Sono responsabili dell’incremento del processo di frammentazione del paesaggio che produce il progressivo isolamento di ambienti naturali e seminaturali sempre più identificabili come aree residuali. Sono ampiamente riconosciuti gli impatti ambientali che questi fenomeni generano rispetto alla capacità di adattamento ai cambiamenti climatici ma è utile ricordare anche il rischio di perdere terreni fertili di altissima qualità in grado di garantirci l’autosufficienza alimentare. 

Un’ulteriore conseguenza sociale legata alla perdita di suoli, ma in ambito urbano, è il fenomeno dell’isola di calore urbana. Un termine che sintetizza le interazioni tra clima e città e che va analizzato nel rapporto tra edificato e spazi aperti, tra superfici permeabili e impermeabili. Questo rapporto influenza la formazione di un clima locale a cui è sottoposta la popolazione, determinando o inibendo situazioni di benessere. I dati dimostrano come nei centri più compatti rispetto alle aree agricole e naturali le differenze di temperatura sono maggiori di 2°C con valori massimi di oltre 6°C a Torino e circa 4°C a Firenze. Per questo la conservazione dei suoli e la loro integrazione nel progetto del tessuto urbano è decisiva per garantire lo svolgimento di funzioni sociali legate anche alla salute pubblica.  

Immagine 5. Cantieri stradali per la Pedemontana Veneta nel comune di Malo (VI); immagine 2014 in alto, 2016 in centro, 2020 in basso. Tra il 2014 e il 2020 i cantieri della Superstrada Pedemontana Veneta, hanno occupato circa 580 ettari tra le province di Treviso e Vicenza. Fonte: ISPRA-SNPA 2021

5. Quante perdite ha già causato, non solo in termini ambientali ma anche economici? 

Il consumo di suolo è la forma più impattante e irreversibile che causa il degrado della risorsa, la perdita delle sue funzioni produttive e di regolazione ma anche quella economica. In questo senso, l’artificializzazione dei suoli produce una serie di “costi nascosti” che, in riferimento alle trasformazioni rilevate da ISPRA e SNPA negli ultimi 8 anni, ammontano a oltre 3 miliardi di euro annui, mentre, nell’intervallo 2006 – 2012 sono superiori a 4,3 miliardi di euro annui. Costi che, se fosse confermata la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi e la velocità media 2012 – 2020 di nuovo consumo di suolo, crescerebbero considerevolmente arrivando ad un costo cumulato complessivo tra il 2012 e il 2030, compreso tra 80 e 100 miliardi di euro

6. Quale è stato l’incremento del consumo di suolo in Italia nell’ultimi 10 anni? E’ possibile quantificarne i danni?

Immagine 6. Superficie del territorio impattata direttamente o indirettamente dal suolo consumato al 2020. Fonte: ISPRA-SNPA 2021 

La crescita delle superfici artificiali ha trasformato a velocità elevate il territorio. Considerano l’intervallo 2006-2012 sono stati consumati quasi 60 mila ettari di suolo che corrispondono a una velocità di quasi 30 ettari al giorno. Negli ultimi 8 anni la conversione dei suoli naturali e seminaturali in suoli impermeabilizzati e artificializzati ha interessato una superficie di quasi 45 mila ettari, con una velocità stimata di oltre 15 ettari al giorno. In questo modo, dal 2012 ad oggi, il suolo non ha potuto garantire la fornitura di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli, lo stoccaggio di quasi 3 milioni di tonnellate di carbonio e l’infiltrazione dell’acqua con oltre 360 milioni di metri cubi di ruscellamento superficiale in più. È importante ricordare che l’impatto di queste trasformazioni produce effetti indiretti anche nelle aree prossime alle superfici impermeabilizzate o artificializzate che possono influenzare la conservazione dei servizi ecosistemici e il funzionamento dei processi ecologici. Si stima che il 66,2% del territorio nazionale si trovi entro i 200 m da aree con copertura artificiale. 

Immagine 7. Stima della perdita di produzione agricola tra il 2012 e il 2020 a livello comunale a causa del consumo di suolo. Fonte: ISPRA-SNPA 2021 

7. Come si colloca l’Italia nel contesto europeo del consumo di suolo? 

A livello percentuale i valori di suolo consumato sono in crescita continua. Rispetto al 2006 sono aumentati di 0,35 punti percentuali (era pari al 6,76 nel 2006 e al 7,05 nel 2017). La quota di superficie artificiale è molto più elevata della media UE, pari al 4,2%.  Secondo i dati 2015 del progetto LUCAS (Land Use and Cover Area Frame Survey) disponibili a livello europeo, l’Italia risulta essere al quinto posto, mentre risultano essere in testa alla classifica europea Malta, Olanda e Belgio.  

Tali livelli di artificializzazione, in un territorio fragile in cui le aree di pianura rappresentano solo un quarto del totale, mostrano la criticità della situazione italiana rispetto al resto d’Europa e l’urgenza di rivedere gli attuali modelli di sviluppo verso l’azzeramento del consumo di suolo e l’integrazione dei servizi ecosistemici nelle politiche territoriali. Finalità accolte nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ha formalmente impegnato il governo ad approvare una “legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli obiettivi europei, in grado di affermare i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola”.  

A cura di Micaela Conterio 

Micaela Conterio. Ufficio Stampa CREA

Giornalista pubblicista dalla comprovata professionalità sia come addetto stampa, con particolare riguardo ai social media (relations, strategy, event e content) e al web, sia come redattrice di articoli presso diverse redazioni di testate giornalistiche nazionali.
Fotografa e scrittrice per passione.

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Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust)

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