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venerdì, 29 Marzo 2024

Biotech-Vitech: le biotecnologie sostenibili applicate alla vite aprono nuove prospettive

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Il contesto

Se parliamo di viticoltura, parliamo di un MUST del Made in Italy. L’Italia, infatti, è ai primi posti nel mondo tra i produttori sia di uva da vino che tavola. Con più di 400 DOC e DOCG, i vini italiani sono conosciuti e riconosciuti ovunque come prodotto di qualità. Non da meno è il settore dell’uva da tavola che rappresenta il secondo prodotto frutticolo per valore delle esportazioni dopo le mele. Eppure, non sono tutte rose e fiori: in prospettiva, infatti, numerosi problemi legati al cambiamento climatico, così come il cambiamento di gusto del consumatore potranno impattare sulla viticoltura come su tutta l’agricoltura italiana.

Per il miglioramento genetico della vite, gli obiettivi primari sono rappresentati dalle resistenze agli stress biotici e abiotici, nonché dai caratteri qualitativi.

In particolare, molto sentito in viticoltura, soprattutto per la produzione da vino, è il problema del consumo di anticrittogamici utilizzati per il controllo delle malattie fungine, con importanti ripercussioni sulla salute ambientale e umana e sui costi di gestione dei vigneti per la difesa.

Nel settore dell’uva da tavola (per il quale l’Italia detiene il secondo posto tra i Paesi produttori), invece, attualmente, il mercato vivaistico italiano è fortemente caratterizzato dall’impiego di varietà apirene ( cioè senza semi) protette da privativa e di provenienza estera, che impongono esborsi monetari per il pagamento di onerose royalty verso altri Paesi detentori di brevetti, con conseguente perdita di competitività della filiera. Infine, è da considerare nella viticoltura moderna, il ruolo del portinnesto che, oltre ad offrire una protezione contro la fillossera (malattia causata da insetti fitofagi che attaccano le radici e le foglie della vite, provocando la morte graduale della pianta), consente l’adattamento della vite alle più diverse condizioni pedoclimatiche. Per questo motivo, la scelta del portinnesto gioca un ruolo chiave nel consentire il raggiungimento dell’equilibrio vegeto-produttivo e nel determinare la qualità delle uve.

In un contesto di cambiamento climatico, lo stress idrico e le malattie fungine, diverranno sempre più delle minacce per il sistema vite, imponendo di attingere massicciamente alle risorse idriche naturali e di  ricorrere sempre più a fungicidi per consentire produzioni di qualità.

Le nuove biotecnologie, in tale contesto, offrono il grande vantaggio di mantenere pressoché inalterato il background genetico delle varietà già affermate e rinomate sia per la produzione di uva da tavola, sia utilizzate per la produzione di vini di grande importanza, intervenendo solo per i caratteri desiderati.

Le azioni intraprese

Pur tra le mille difficoltà nella messa a punto delle colture in vitro e le applicazioni biotecnologiche per la trasformazione della vite e l’ottenimento di prodotti realmente utilizzabili, la nostra esperienza si sta consolidando proprio grazie al finanziamento ministeriale del progetto Biotech. Il sottoprogetto VITECH, infatti, ha come obiettivo generale quello di applicare le moderne Tecnologie di Evoluzione Assistita all’intera filiera vitivinicola. Nella vite, per uva da vino come per quella da tavola incluso i portainnesti, abbiamo focalizzato i nostri obiettivi su tre tematiche importanti e concrete, quali le resistenze agli stress biotici ed abiotici, così come sui tratti qualitativi, aspetto molto ricercato da consumatori e produttori quale l’apirenia, ovvero assenza di sviluppo del seme.

Un primo obiettivo strategico che ci siamo prefissi è stato di far in modo che le tecnologie oggetto di indagine siano ampiamente applicabili al maggior numero di varietà di vite, specialmente alle varietà autoctone, oltre a quelle già note, con l’intento di migliorare, quindi, in maniera efficiente e precisa proprio quelle varietà più rappresentative della viticoltura italiana, sia da vino che da tavola.

A questo scopo, è prima di tutto fondamentale mettere a punto una serie di tecniche “in vitro” per riuscire ad ottenere colture di cellule a partire da diversi tessuti della pianta che siano capaci di rigenerare un’intera pianta (embrioni somatici). Questo processo però è strettamente dipendente dalla varietà: alcune, infatti, sono dette ‘recalcitranti’, cioè non sono capaci di produrre con facilità embrioni somatici. Critiche in vite sono anche le fasi successive, ovvero quelle che consentono di indurre le modifiche desiderate in questi embrioni, ma anche le fasi di rigenerazione delle piante così modificate. Questi ostacoli vanno superati con avanzamenti tecnici ed è un passaggio fondamentale, se si vuole che tali tecnologie siano facilmente diffondibili ed accettate, riuscendo a sviluppare protocolli universalmente utilizzabili sul numero più alto possibile di varietà coltivate. Questo obiettivo, in parte può ritenersi raggiunto per diverse varietà testate, ma rimane problematico per un amplissimo numero di varietà coltivate (nello specifico in Italia) di nostro interesse. Si tratta di un aspetto che, per penetrare nella ampia cultura vitivinicola nazionale, deve essere affrontato con la dovuta massa critica di istituzioni e ricercatori distribuiti sul territorio nazionale. In questo contesto VITECH offre la possibilità di creare un network di istituzioni che collaborano strettamente per il raggiungimento di queste finalità.

Per l’uva da tavola, analoghe difficoltà sono in corso di superamento, ma, anche se valgono simili ragionamenti, ottenere il carattere di apirenia nelle varietà di successo italiane è confinato ad un numero inferiore di accessioni. Ad oggi, dopo aver testato in due anni circa 80.000 antere (parte fertile posta alla sommità degli stami dei fiori), prelevate da otto varietà, possiamo affermare di riuscire a gestirne bene la quasi totalità: solo una varietà tra quelle studiate, infatti, è risultata recalcitrante, ma è oggetto di ulteriori indagini per superare gli ostacoli incontrati.

Grazie alle competenze raggiunte su queste tecnologie abilitanti, unite all’avanzamento di know-how sulle basi molecolari dei caratteri oggetto dei programmi di miglioramento genetico, nel progetto stiamo affrontando problematiche relative alle resistenze agli stress, biotici ed abiotici e le eventuali ricadute utili sia per l’uva da vino che l’uva da tavola. Nello specifico, abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla resistenza alla peronospora e all’oidio, sia con approcci cis-genici che di genome editing. Per gli stress abiotici abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla resistenza della pianta allo stress idrico, sia nel nesto che nel portainnesto.

L’approccio cis-genico consiste nel trasferire un gene di resistenza, da una varietà resistente ad una suscettibile e differisce dall’approccio con il genome editing non solo nei protocolli utilizzati, ma soprattutto nelle informazioni genetiche necessarie per ottenere una pianta resistente. La cis-genesi, infatti, è dunque possibile se si dispone delle sequenze genetiche dei geni di resistenza, il vero punto critico perché, purtroppo, questi geni non sono presenti nel genoma della Vitis vinifera (la vite europea), bensì solo nei genomi delle viti americane o asiatiche. Il collo di bottiglia, in questo caso, è costituito dal numero dei geni dotati di tutte le informazioni necessarie. Grazie alle ottime relazioni che il Centro di Viticoltura ed Enologia ha in Italia ed all’estero, disponiamo di alcune sequenze finemente caratterizzate per gli efficaci protocolli, oggi messi a punto nei nostri laboratori, per la cis-genesi contro la peronospora: si tratta del gruppo Rpv3 per rendere le viti resistenti alla peronospora (Plasmopara viticola), mentre per l’oidio dovremo aspettare ancora alcune informazioni necessarie per una definitiva messa a punto.

Fortunatamente, però, anche per quest’ultima patologia abbiamo una strategia: disponiamo infatti di un paio di sequenze geniche che ricadono nel novero dei geni di suscettibilità, indispensabili per il genome editing. I geni di suscettibilità, infatti, differiscono dai geni di resistenza perché, mentre i secondi sono responsabili di creare una barriera fisica o chimica contro lo sviluppo del fungo patogeno, i primi determinano una predisposizione o meno della pianta all’aggressione fungina. Questa caratteristica dei geni di suscettibilità, li rende target molto appetibili per un’azione chirurgica sul gene mediante l’editing genico grazie alle proteine Cas, note come “forbici molecolari”. Queste, infatti, guidate opportunamente vicino ai geni di suscettibilità, sono in grado di “tagliare” il gene e causare degli “errori” (mutazioni) che ne “spengono” l’azione. In questo modo saremo in grado di eliminare dalla vite suscettibile il “punto debole”, che consente al fungo di accedere alla pianta e infettarla. Per la vite, i geni su cui stiamo lavorando in tal senso sono i geni detti mlo (mildew level zero=livello di assenza dell’oidio). Siamo a buon punto su entrambe le strategie, perché abbiamo degli embrioni in cui queste modifiche sono state già realizzate e che quindi, grazie all’affinamento delle tecnologie di colture in vitro, potrebbero dar vita a piantine di vite resistenti.  

Tra gli stress abiotici, la carenza idrica risulta essere il maggiore problema correlato ai cambiamenti climatici, e di sicuro impatto sulla qualità dell’uva. In questo settore, abbiamo identificato alcuni geni possibili omologhi a quelli caratterizzati in altre piante, dove la funzione di controllo dello stato idrico sembra essere fortemente influenzato. Come per il gene di suscettibilità all’oidio, anche per la tolleranza allo stress idrico i geni verranno silenziati per favorire la maggiore tolleranza allo stress. Questi geni, che interessano l’apparato di trasporto dell’acqua e dei soluti dal terreno, verranno testati in piante editate per verificare l’effetto nella capacità di trasporto e nella tolleranza alla carenza di acqua nel suolo. Grazie alle collaborazioni nazionali ed internazionali che abbiamo istituito, sono in corso i test di almeno 3 geni, di cui due silenziati ed uno sovraespresso per verificare una sua efficacia nel superare le fasi critiche di carenza di acqua. I portainnesti selezionati sono stati scelti tra quelli che maggiormente garantivano produzione di embrioni somatici con una certa efficienza, ed anche questo processo è da ascrivere alle competenze acquisite grazie al progetto in corso.

Per quanto riguarda l’uva da tavola, fino a circa un decennio fa l’Italia ha ricoperto un ruolo leader nel settore, offrendo al mercato sia nazionale che estero varietà di elevato pregio e qualità. Non solo, anche nell’ambito del miglioramento genetico convenzionale, l’Italia ha svolto in passato un ruolo molto importante nel secolo scorso, grazie alla presenza di bravi miglioratori genetici e costitutori di nuove varietà, come Pirovano, costitutore della principale varietà prodotta nel nostro Paese, la varietà Italia, appunto. Tuttavia, ancora oggi in Italia la maggior parte della produzione è rappresentato da uve con seme e anche la varietà Italia che, a partire dagli anni ’60 per un cinquantennio, ha avuto grandi successi, oggi è entrata in crisi, proprio per la presenza di semi. Di fatto il cambiamento del mercato imponeva un parallelo cambiamento anche nel settore produttivo, che tuttavia in Italia è stato colto in ritardo, favorendo la diffusione di varietà apirene provenienti da nuovi paesi produttori. La possibilità di applicare le TEA al miglioramento genetico dell’uva da tavola rappresenta un’opportunità che la viticoltura italiana non può farsi sfuggire per colmare questo gap.

Le conoscenze scientifiche recenti hanno permesso l’identificazione del gene responsabile dell’apirenia e della mutazione che causa questo fenotipo. Nel progetto VITECH, perciò, grazie anche a collaborazioni sia nazionali che internazionali, abbiamo approfondito il funzionamento di questo gene, che ci ha consentito di disegnarne una strategia di miglioramento genetico, tramite editing, direttamente nel sito dove è stata identificata la mutazione causale, con lo scopo di replicare tale mutazione nelle varietà con seme di maggior pregio e più rappresentative del Made in Italy per l’uva da tavola, come la varietà Italia, o la Vittoria.

Inoltre, gli avanzamenti raggiunti nell’ambito delle tecnologie abilitanti, nonché la creazione di un network di competenze, anche con altre istituzioni che lavorano sul miglioramento genetico della vite, ci ha spinto a progettare una strategia ancora più sofisticata e chirurgica, ma al contempo anche più “pulita”, che consiste nell’uso di quelle stesse forbici molecolari sopracitate in purezza, cioè direttamente su cellule di vite, dette protoplasti. Si tratta di cellule a cui viene degradata la parete cellulare e questo consente di inserire al loro interno gli “attori” dell’editing (le forbici molecolari appunto e le loro guide), senza alcun mediatore. Per cui una volta svolta la loro azione, gli attori escono di scena, vengono eliminati dalla cellula senza lasciare traccia alcuna, se non la modifica desiderata, nel posto desiderato.  

I protoplasti così modificati, potremmo dire “evoluti in modo assistito”, successivamente vengono indotti, con un lento e delicato procedimento, a rigenerare la parete cellulare e poi a crescere per formare embrioni somatici che saranno identici geneticamente alla pianta madre, ad eccezione di singole mutazioni puntiformi che conferiscono l’apirenia in un modo del tutto simile al naturale processo in cui quella mutazione è comparsa ed è stata selezionata.

Impatto

L’impatto dei risultati attesi nel corso del progetto sarà misurabile a breve, medio e lungo termine. A breve termine importanti risultati sono già stati raggiunti, come l’aumento delle conoscenze sui meccanismi molecolari di risposta in vite agli stress biotici e abiotici e sui meccanismi responsabili della stenospermocarpia (tipo di apirenia con presenza di semi molto rudimentali), nonché l’aumento delle competenze nell’ambito della rigenerazione della vite e sulle tecnologie abilitanti. Fondamentale è anche l’aver avviato la creazione di un network tra i gruppi di ricerca scientifici che operano in questo settore, ponendo le fondamenta per lo sviluppo di una attività nazionale di breeding competitivo in un settore di primaria importanza in Italia. Questo consentirà di avvalersi concretamente delle biotecnologie emergenti nel campo del miglioramento genetico vegetale e della loro applicabilità alla vite ed infine di ottenere piantine editate per i caratteri di interesse oggetto di studio, con impatti socio-economici di rilievo. Infatti, l’innovazione derivante dal miglioramento genetico della vite da vino per la resistenza alle principali avversità fungine consentirà di rispondere in modo sostenibile e duraturo al problema dell’impatto degli agrofarmaci. I risultati derivanti dal miglioramento genetico della vite da tavola per l’apirenia consentiranno di aumentare la competitività della filiera italiana di uva da tavola, che oggigiorno è troppo minacciata dalle provenienze estere per le varietà apirene, offrendo uve del tutto simili, a livello organolettico, a quelle con seme attualmente apprezzate in Italia, ma apirene. Le varietà ottenute darebbero nuovo vigore al mercato estero, riducendo al contempo la necessità di pagare royalty per varietà estere. Infine, la disponibilità di portinnesti maggiormente tolleranti allo stress idrico consentirà di rispondere in modo sostenibile ai cambiamenti climatici in atto, in particolare aumentando la resilienza del sistema vite ed evitando lo spreco delle risorse idriche.

Riccardo Velasco. Direttore del CREA Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia

Esperto di Genetica e Genomica delle piante da frutto e della vite, già autore di numerosi articoli sui genomi vegetali, con oltre 150 pubblicazioni con IF, è in 24a posizione (Hindex 61, citazioni 14.201) tra i Top Italian Scientists nel settore Natural & Environmental Science, di alcune decine di articoli sulle biotecnologie applicate e di 3 brevetti europei. Ha contribuito col gruppo di lavoro del CREA VE alla recentissima pubblicazione di una review di prestigio sul Plant Biotechnology Journal che descrive protocolli e risultati di pregio nelle biotecnologie delle piante da frutto

#laFrase
La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso
Albert Einstein

Maria Francesca Cardone. Ricercatrice presso il CREA Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia

Il filo conduttore della sua attività è lo studio dei genomi e della loro evoluzione e plasticità. Da più di dieci anni studia il genoma della vite per capire quali sono i geni responsabili dei caratteri di interesse per il miglioramento genetico.
E’ autrice di più di 80 lavori scientifici di cui 50 su riviste internazionali indicizzate. H-index: 21

#laFrase
In natura non esistono due esseri viventi identici e la ragione di questa diversità è nel DNA. Perciò è studiando la diversità genetica che possiamo capire il perché di ciò che vediamo e migliorarlo

Carlo Bergamini. Ricercatore presso il CREA Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia, sede di Turi (BA)

Studia la genetica della vite, i marcatori molecolari per la selezione assistita nel breeding, la biodiversità del germoplasma viticolo; lavora al miglioramento genetico per incrocio per ottenere nuove varietà di uva da tavola e da vino resistenti alle malattie.

#laFrase
Trovo che il mistero più affascinante della scienza sia la nascita della vita in quanto evoluzione delle molecole. Per questo motivo mi sono appassionato delle Tecnologie di Evoluzione Assistita

Walter Chitarra. Ricercatore presso il CREA Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia, sede di Conegliano (TV)

L’attività di ricerca è focalizzata sullo studio dell’interazione pianta-patogeno e le biotecnologie sostenibili per il loro controllo e per aumentare le difese della pianta anche a stress abiotici (es. stress idrico). E’ autore di oltre 50 lavori scientifici su riviste internazionali con IF. H-index: 20

#laFrase
Lo scienziato nel suo laboratorio non è solo un tecnico, è anche un bambino davanti a fenomeni della natura che lo affascinano come un racconto di fate
Marie Curie

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