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sabato, 27 Aprile 2024

Gli alieni presentano il conto alla nostra agricoltura 

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Dalla cimice asiatica al batterio Xylella, dalla Popillia japonica alla Tristezza degli agrumi, dal Punteruolo rosso alla Flavescenza dorata, dalla Vespa velutina alla Batteriosi del kiwi: sono sempre di più le specie aliene –

batteri, virus, funghi, insetti, acari e nematodi – che si sono introdotte accidentalmente nelle campagne italiane, facilitati dai cambiamenti climatici e dalla globalizzazione degli scambi, con ingenti ricadute sul piano ambientale, paesaggistico ed economico.
E di quanto costano gli alieni alla nostra agricoltura, ne parliamo con Alessandra Pesce, Direttrice del CREA Politiche e Bioeconomia. 

Dalla cimice asiatica al batterio Xylella, dalla Popillia japonica alla Tristezza degli agrumi, dal Punteruolo rosso alla Flavescenza dorata, dalla Vespa velutina alla Batteriosi del kiwi: sono sempre di più le specie aliene – batteri, virus, funghi, insetti, acari e nematodi– che si sono introdotte accidentalmente nelle campagne italiane, facilitati dai cambiamenti climatici e dalla globalizzazione degli scambi, con ingenti ricadute sul piano ambientale, paesaggistico ed economico. Seppur parziale, l’elenco dà la misura di quanto sia complessa e grave la situazione e quanto la minaccia sia globale. L’assenza negli ambienti di nuova introduzione di antagonisti naturali e, al contempo, la mancanza di meccanismi di tolleranza o difesa nelle piante attaccate, favoriscono, infatti, l’insediamento e la diffusione di specie aliene invasive, con il risultato che, oltre ad essere economici, i danni sono di carattere ambientale e di perdita di biodiversità: tali specie, di fatto, in molti casi entrano in competizione con gli organismi autoctoni, mettendone a rischio la sopravvivenza. 

Kiwi dannegiato

Secondo l’ultimo rapporto Ipbes – Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services – (settembre 2023), la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici delle Nazioni Unite, oltre 37 mila specie aliene sono state introdotte in regioni ed ecosistemi di tutto il mondo, stima in crescita con ritmi vertiginosi. Di queste, più di 3.500 sono invasivi e dannosi nei nuovi ecosistemi, con un costo economico globale di circa 423 miliardi di dollari l’anno. Restringendo il campo all’agricoltura, la FAO stima i danni causati da parassiti fino al 40% della produzione globale, con un costo per l’economia del pianeta di oltre 220 miliardi di dollari/anno. E proprio di quanto costano gli alieni alla nostra agricoltura, ne parliamo con Alessandra Pesce, Direttrice del CREA Centro Politiche e Bioeconomia. 

Quali sono gli effetti della comparsa di specie aliene in agricoltura? 

L’agricoltura è il settore produttivo “storico” e, come tale, da sempre ha dovuto fronteggiare specifiche crisi, che ne hanno modificato gli assetti e le produzioni. Ciclicamente, patogeni diversi o specie animali e vegetali in competizione hanno afflitto specifiche produzioni, talvolta creando danni economici importanti, che hanno determinato la revisione delle scelte imprenditoriali e degli investimenti. 

La velocità con cui negli ultimi anni assistiamo a questi attacchi è il combinato disposto dei cambiamenti climatici e del processo di globalizzazione, fenomeni che hanno modificato i naturali fenomeni evolutivi delle produzioni agricole. 

Adulto della specie Aliena invasiva Tarlo asiatico

Gli alieni nocivi, ovvero quelle specie in grado di causare danni moltiplicandosi in modo abnorme, si diffondono spesso con rapidità su coltivazioni importanti (dalla flavescenza dorata della vite alla Xylella in olivicoltura fino alla cimice asiatica che attacca i fruttiferi) e devastano territori in cui il tessuto produttivo patisce non solo il “lucro cessante”, ossia la perdita di reddito, ma anche il “danno emergente”, a seguito della distruzione delle stesse strutture produttive, come nel caso di alieni che causano la morte delle piante in coltivazioni arboree. Tale situazione ha ricadute ancor più marcate nei territori con agricolture fragili, dove si può giungere persino all’abbandono della attività e della gestione del territorio. Quando si affronta questo problema, vanno anche considerati le ricadute sul sistema produttivo nel suo insieme: anche i fornitori di beni e servizi si trovano spiazzati da una forte riduzione della domanda e dalla necessità di riorientare l’offerta. 

Giovane pianta di Acero con foro di uscita del Tarlo asiatico

In molti casi, infatti, la mera compensazione delle perdite produttive non compensa il danno, in quanto nella valutazione degli impatti vanno aggiunti la perdita dei mercati di riferimento, i nuovi investimenti necessari per la diversificazione e tutte le iniziative necessarie per la ricerca e la messa a terra delle soluzioni innovative.  

Pertanto, la comparsa di specie aliene rende necessario fronteggiare nell’immediato l’emergenza, ma in contemporanea agire nel medio-lungo periodo con interventi in grado di rispondere agli effetti che tale emergenza ha generato. 

Può fare un esempio? 

Un chiaro esempio di questa complessa tipologia di conseguenze è rappresentato dal disseccamento degli olivi nel Salento causato dal batterio Xylella fastidiosa

L’areale prioritario di diffusione della Xylella e la specie principalmente colpita, infatti, costituiscono una sfortuna combinazione di fattori, che ha amplificato gli effetti negativi del patogeno, che non sono stati solo di natura economica, ma anche paesaggistici e ambientali. 

Dal punto di vista economico, l’attacco della Xylella ha portato ad un drastico abbattimento delle produzioni. Secondo i dati campionari rilevati dal CREA Politiche e Bioeconomia attraverso la RICA, Rete di Informazione Contabile Agricola (strumento comunitario finalizzato a conoscere la situazione economica dell’agricoltura europea, l’unica fonte armonizzata di dati microeconomici sull’evoluzione dei redditi e sulle dinamiche economico-strutturali delle aziende agricole), le rese si sono azzerate nella maggior parte delle aziende. Hanno fatto eccezione alcune “oasi” che – per tipologia di cultivar e/o per localizzazione – riescono a realizzare quantità di prodotto più o meno in linea con quanto accadeva prima della comparsa del batterio. Nel complesso ciò ha comportato, secondo i dati ISTAT, a parità di superfice destinata all’olivo, ad una contrazione della produzione di circa il 70%, passando dagli oltre 3 milioni di quintali del periodo 2006-2008 ai 960.000 del 2022. Ovvia la conseguente perdita economica per le imprese agricole (sia in termini di reddito che di capacità produttiva), per l’indotto sia a monte (mezzi tecnici) che a valle (industria di trasformazione) e per la collettività, a causa della contrazione della manodopera occupata.  

La Xylella non ha danneggiato solo il sistema agroalimentare salentino, ma ha avuto anche conseguenze in termini paesaggistici e ambientali. Gli oliveti, infatti, occupano oltre i 2/3 della superfice agricola leccese, caratterizzando significativamente il territorio. Molti di questi, inoltre, sono secolari e/o con caratteristiche di monumentalità, rappresentando veri e propri elementi identitari per popolazione residente. La “scheletrizzazione” degli olivi determinata da Xylella ha alterato in maniera profonda il paesaggio salentino, con potenziali futuri effetti negativi sugli importanti flussi turistici, ormai da tempo consolidati. 

Gli ulivi, per di più, svolgono una importantissima funzionale ambientale. La loro longevità e la caratteristica di essere piante sempreverdi, infatti, ne fanno degli eccellenti sequestratori di anidride carbonica, consentendo di assimilarli alle formazioni forestali. La perdita – causata dalla Xylella – della possibilità di svolgere queste funzioni, da parte della olivicoltura salentina, ha privato la collettività di uno strumento potente ed efficace nel contrasto ai cambiamenti climatici. 

La strategia di risposta a questo insieme di problematiche si è concretizzata nel Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia, strumento articolato su più fronti. Il Piano, infatti, prevede azioni preventive dirette al contrasto della malattia (ricerca, distruzione delle fonti di inoculo), a supporto del tessuto produttivo agricolo (ristoro delle perdite di reddito degli agricoltori, sostegno al reimpianto con nuove varietà di olivo, riconversione verso altre colture, sostegno al vivaismo), di carattere territoriale (diversificazione dell’economia rurale e accorpamento fondiario), a valenza ambientale e paesaggistica  (la salvaguardia degli olivi secolari o monumentali). 

Ci dobbiamo aspettare nuove invasioni? Quali sono le possibili soluzioni? 

Il principale fattore che favorisce l’introduzione e la proliferazione di specie aliene nei sistemi agricoli è rappresentato dai cambiamenti climatici. Le azioni di contrasto ad essi assumono di conseguenza grande rilievo nella prevenzione dei danni alle produzioni agricole causati da organismi nocivi. La problematica dei danni all’agricoltura come intuibile assume una valenza di rilievo nel nostro Paese, dove il settore primario ha rilevanza centrale dal punto di vista economico, sociale e culturale. L’agricoltura italiana, infatti, ha un fatturato annuo di circa 70 miliardi di € e occupa in media quasi un milione di lavoratori, partecipando in misura significativa – in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei – alla formazione della ricchezza nazionale (oltre il 2% del valore aggiunto). Estremamente significativa è la numerosità delle produzioni di qualità (DOP e IGP), per le quali deteniamo il primato nel contesto europeo e che rappresentano l’elemento distintivo dell’agricoltura del Paese. Il settore, inoltre, è alla base di una industria di trasformazione, che genera una produzione di 177 milioni di €, e rappresenta il fiore all’occhiello degli scambi commerciali con l’estero. Questo patrimonio, collegato con i valori paesaggistici, costituisce la parte “hard” del nostro Made in Italy agroalimentare, una risorsa di grande valenza per l’Italia, possibile “vittima” delle specie aliene e dei cambiamenti climatici, ma anche possibile baluardo contro entrambi. 

Quest’ultimo ruolo è supportato dalle politiche pubbliche, attraverso le quali, per esempio, si erogano una diversificata gamma di pagamenti agli agricoltori per gli impegni di natura ambientale che questi assumono e che sono orientati nel complesso a produrre attraverso processi più sostenibili e a sequestrare il carbonio. Il contrasto ai cambiamenti climatici diventa, così, la principale forma di tutela della nostra agricoltura. 

Proprio in questo ambito, dunque, fondamentale è il ruolo della ricerca in agricoltura, sempre più finalizzata ad accompagnare la transizione ecologica, opportunamente coniugata alla esigenza di garantire competitività alle imprese. 

Micaela Conterio
Ufficio stampa CREA

Giornalista pubblicista dalla comprovata professionalità sia come addetto stampa, con particolare riguardo ai social media (relations, strategy, event e content) e al web, sia come redattrice di articoli presso diverse redazioni di testate giornalistiche nazionali. Fotografa e scrittrice per passione.

#lafrase Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust)

Pierpaolo Pallara
Ricercatore, CREA Centro Politiche e Bioeconomia

Pierpaolo Pallara, Primo Ricercatore CREA Centro Politiche e Bioeconomia. Politiche di sviluppo, analisi di filiera, mercato del lavoro.

#lafrase L’umiltà ci fa eterni discepoli, la consapevolezza eterni maestri


Alessandra Pesce
Direttrice CREA Centro Politiche e Bioeconomia

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