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sabato, 27 Aprile 2024

Cibo che si (r)innova/5: i formaggi tradizionali

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Dal massimo splendore della Roma imperiale alla Dieta Mediterranea, patrimonio Unesco: la produzione casearia nazionale, coniugando tradizione e innovazione, è in grado di offrire una gamma di prodotti, unici al mondo, che rispecchiano la ricchezza, la varietà e la complessità dei nostri territori. Ecco l’excursus proposto dal CREA-Zootecnia e Acquacoltura sui numeri della produzione e diffusione delle eccellenze italiane, sulle tipicità locali e le tecniche produttive, sulle caratteristiche nutrizionali e organolettiche, sempre capaci di evolversi insieme al consumatore

Il proverbio “Come il cacio sui maccheroni” la dice lunga su quanto sia importante il formaggio nella cultura italiana. L’Impero Romano portava nei territori di conquista, oltre che leggi e costumi, anche le tecniche per produrre il formaggio: “anche lontano dalla Patria non sarà trascurata la cura di fare il formaggio (casei faciendi), con caglio di capretto o agnello, oppure con estratto di cardo selvatico o di rami di fico” (“De Re Rustica”, Lucio Columella, ca. 50 d.C.). Il fisiologo statunitense Ancel Keys, durante un viaggio nel Cilento alla fine degli anni ’50, studiando quello che definì modello nutrizionale della Dieta Mediterranea, pose latte e formaggi fra i cibi di consumo quotidiano nella sua famosa Piramide.

Dati di produzione e fatturato

Nel 2021 (fonte ISTAT) la produzione nazionale di formaggi ammonta a quasi 1,4 milioni di tonnellate, per un valore di oltre 10 miliardi di euro (FOOD, 2022); di questi, circa 590.000 t vantano una denominazione d’origine riconosciuta a livello europeo.

L’Italia conta 55 formaggi fra DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), per un valore di 4,6 miliardi di euro (CREA, Annuario dell’agricoltura italiana 2021, vol. LXXV). Nel 2022 risultano registrati fra le PAT (Produzione Agroalimentare Tradizionale) ben 524 formaggi. Un patrimonio che riflette il profondo legame fra la storia di un popolo e la sua produzione casearia.

Esempi di formaggio a crosta fiorita, a latte caprino (sinistra) e vaccino (destra)

Quali sono i formaggi più venduti in Italia e all’estero

La top-10 dei prodotti DOP-IGP per valore alla produzione comprende 5 formaggi: Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Mozzarella di bufala Campana, Gorgonzola, Pecorino Romano. Questi prodotti detengono il primato nei consumi nazionali e nelle esportazioni, che complessivamente ammontano a oltre 520.000 t. Nel 2021, oltre il 50% del valore complessivo dell’esportazione è rappresentato dai formaggi (ca. 4,4 miliardi di euro).

Cenni storici

Il formaggio ha sempre avuto un ruolo importante nella storia agroalimentare italiana. Era cibo, ma anche merce di scambio, forma di pagamento per l’affitto dei terreni, era pasto proteico in mancanza di carne (costosissima) e per insaporire la pasta o la minestra, era prelibatezza sulle tavole dei Signori che, per non rischiare di rimanere senza, erano disposti a spendere molto.

Nei libri contabili dei monasteri, attorno all’anno 1000, è riportato il numero dei caci che dovevano essere consegnati come canone di affitto per i terreni agricoli di proprietà dei frati (ad esempio per il formaggio di Parma).

I formaggi nella tradizione agroalimentare italiana

Nella vita della famiglia media italiana, il formaggio fa la prima comparsa allo svezzamento dei bimbi, quando viene sciolto nel brodo della pastina, quale fonte proteica data prima di carne, pesce e uova. Nella dieta italiana, il formaggio è una coccola, uno spuntino, un goloso panino, un ingrediente importante dei nostri piatti, ma anche un ragionato e prezioso tagliere, dove 6-7 diversi formaggi narrano un percorso di storia e sapori. Nella spesa media mensile il consumo italiano di latte, formaggi e uova – pari a 60,38 € (ISTAT, 2021) – è quarto dopo carne, pasta e lievitati e vegetali.

Canestrato di Moliterno IGP, stagionatura in cantina tradizionale (Fondaco)

Qualità nutrizionali

Negli ultimi decenni il formaggio è stato messo sotto accusa come “alimento calorico e fonte di colesterolo”; così, spesso è il primo alimento ad essere eliminato dalla dieta. Non si può valutare un formaggio solo in termini di calorie, grasso e proteine, c’è molto più di quanto possano dire le etichette (latte, sale, caglio).

I formaggi, insieme a latte e yogurt, rappresentano la principale fonte di calcio e fosforo (fondamentali per la salute delle ossa), e il loro contenuto percentuale aumenta con la stagionatura. Recentemente i grassi, e in particolare gli acidi grassi saturi, sono stati rivalutati per gli effetti sul benessere: antitumorali (ac. butirrico), antivirali (ac. caprilico e caprico), e diminuzione della colesterolemia (acido stearico).

Il CLA (acido linoleico coniugato), contenuto in latte e carne di ruminanti, ha potenziali effetti anticarcinogenici, anti-adipogenici, anti-diabetici, anti-aterogenici; gli ormai ben noti omega-3, importanti per diminuire il rapporto con gli omega-6, aumentano nel formaggio ottenuto dal latte degli animali liberi al pascolo. Contiene, inoltre, importanti vitamine, come la A e la E, che variano soprattutto in base all’alimentazione animale. E poi, vit. B2 e sali minerali come potassio, sodio, magnesio, zinco e di selenio.

Il lattosio, verso il quale è in aumento il fenomeno dell’intolleranza, diminuisce con la stagionatura, passando dal 4 g/100 g di latte e ricotta, a 1,5-2 g/100g di mozzarella, caprino, crescenza, fino a scomparire in formaggi stagionati oltre 12 mesi, come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, pecorini, ecc.

Secondo gli studiosi, una porzione congrua di formaggio consiste in 100 g nel caso di formaggi freschi (ricchi di acqua) e di 50 g nel caso di semi-stagionati o stagionati.

La ricotta, un latticino da valorizzare

La ricotta è spesso sottovalutata. Le Tabelle di Composizione degli Alimenti (aggiornamento 2019), in cui il CREA Alimenti e Nutrizione seleziona i cibi maggiormente consumati in Italia, ne forniscono il valore nutrizionale: Essa è caratterizzata dal basso contenuto in grassi (10,9% quella vaccina, 11,5% ovina) e dalle siero-proteine (il 20% delle proteine del latte), formate da aminoacidi essenziali e da peptidi con proprietà funzionali: attività anti-ipertensiva, in grado di modulare la pressione arteriosa; effetto analgesico e sedativo, antidiarroico e modulatore del trasporto amminoacidico nell’intestino; attività sul sistema gastrointestinale, che porta ad un migliore assorbimento del calcio; attività antimicrobica, grazie a peptidi e proteine come la Lattoferrina con attività antibatterica.

Forma e sostanza: la Carta d’identità di un formaggio

In un formaggio a forma di disco abbiamo: faccia superiore, faccia inferiore e scalzo (la superficie laterale). Nelle mozzarelle si parla di pelle. Subito sotto la crosta si trova l’unghia, quello strato più o meno spesso, di consistenza e sapore più intensi rispetto alla pasta. Quest’ultima rappresenta il vero corpo del formaggio.

Come si suddividono?

Come Palomar nell’atelier dei formaggi (protagonista dell’omonima raccolta di racconti di Italo Calvino, pubblicata nel 1983), la variabilità che possiamo osservare al bancone dei caci ci spinge a classificarli. Ecco un criterio che può guidare il consumatore, basato sulla consistenza della pasta e sulla durata della stagionatura.

Filatura tradizionale

Latticini: derivano dal latte o panna o dal latticello (ossia il siero, residuo della caseificazione) senza aggiunta di caglio. Troviamo il Mascarpone, specialità tutta italiana a base di panna, e la ricotta, a base di siero. Il riscaldamento a circa 90°C della materia prima acidula permette l’affioramento di fiocchi morbidi che, dopo la colatura, si compattano.

Formaggi freschi: sono formaggi morbidi, di color bianco latte o niveo, senza crosta. La loro stagionatura (il tempo necessario per raggiungere la maturità per la sua tipologia) va da zero a 2-3 giorni. Qualche esempio: la Robiola DOP, il tipo Quark, il caprino, i “fiocchi di latte” (o Cottage cheese), lo Squacquerone.

Formaggi molli/teneri poco stagionati: a latte vaccino, ovino, caprino o misto, presentano una crosta sottile, che a volte può essere edule (si può mangiare), colore chiaro, la pasta molle (si prende con il cucchiaio) o tenera con qualche occhiatura. Ne sono esempi italiani: crescenza, stracchino, toma, caciotta. Tra i prodotti della pastorizia e dei territori delle Marche, eccelle la Casciotta di Urbino DOP.

Formaggi a pasta filata: tradizionali del Mezzogiorno, con latte vaccino o ovino; l’acqua bollente versata sulla cagliata acidificata ne modifica la struttura fino a farla filare. Il colore varia dal bianco latte al giallo oro, in base alla specie e alla stagionatura. Tra quelli che formano il patrimonio della tradizione casearia del Sud Italia, si annoverano: Mozzarella di Bufala Campana DOP, Fiordilatte vaccino, Mozzarella di Gioia del Colle DOP (2019) e Mozzarella Tradizionale STG a latte vaccino, treccia e treccione (freschi), Scamorza (brevemente stagionata), Caciocavallo podolico (dal nome della razza Podolica dell’Appennino meridionale), Provolone Valle Padana DOP, Ragusano DOP, Caciocavallo Palermitano DOP (stagionati), la Vastedda della Valle del Belìce DOP e la Peretta sarda a latte ovino, freschi oppure a breve-media stagionatura.

Formaggi a crosta fiorita: pensiamo al Brie e al Camembert, la cui crosta è ricoperta da una muffa bianca selezionata, a volte edibile. Essa si sviluppa in 10-15 giorni ed è commestibile, anzi, è la particolarità di questi formaggi. Nel caso del Taleggio DOP, la crosta è composta da muffe e da batteri che contribuiscono alla colorazione rosata, e non è commestibile.

Formaggi erborinati: l’aggettivo richiama il colore verde delle venature (anche blu) che li caratterizzano; a latte vaccino, ovino o caprino, sono a pasta molle (Gorgonzola DOP) o compatta (Castelmagno DOP, Murianengo, Roquefort DOP, ecc.). Le muffe, edibili, sono prodotte dallo sviluppo di muffe selezionate (P. roqueforti). Possono essere dolci, come il Gorgonzola, oppure piccanti.

Formaggi semi-duri: questi formaggi, con latte di specie diverse, sono nati dalla necessità di conservare un alimento nel tempo, senza perdere prodotto, sapore e capacità di nutrire. Devono stagionare qualche mese per essere pronti e sprigionare le loro caratteristiche sensoriali tipiche. Qualche esempio: alcuni pecorini, Canestrato pugliese DOP, Asiago DOP, Montasio DOP, Maccagno PAT, Raschera DOP, Fontina DOP.

Formaggi duri: possono essere stagionati anche per svariati anni, durante i quali il loro gusto si affina, come un buon vino. Sono duri al taglio e, grazie alla stagionatura prolungata, evolvono aumentando profumi, sapori e digeribilità. Fra questi, il Grana Padano DOP, il Parmigiano Reggiano DOP, i pecorini stagionati (Fiore Sardo DOP, Pecorino Romano DOP, Pecorino del Monte Poro DOP, Pecorino di Filiano IGP, ecc.), i caprini stagionati, il cacioricotta di capra – cacioricotta perché contiene sia le proteine del formaggio (cacio) sia quelle della ricotta (le sieroproteine) grazie all’elevata la temperatura di riscaldamento iniziale del latte – 85 °C.

Pecorino di Filiano

Qualità sensoriali

I ritmi della vita di oggi, specie nelle grandi città, portano a vivere il momento del pasto in modo distratto (televisione oppure smartphone a portata di mano). In questo modo, il cibo passa dalla bocca allo stomaco quasi per mero atto meccanico, sconnettendo “i sensi” dalla masticazione. Come coglierne le qualità sensoriali?

Il primo approccio è visivo: ne osservo la forma, la crosta (quando c’è), il colore della pasta (legato alla specie animale, all’alimentazione, alla stagionatura o alla tecnologia), la struttura della pasta (compatta, lucida, sierosa), l’eventuale occhiatura, ossia i buchi del formaggio, da piccoli come occhi di pernice a grandi e regolari come nell’Emmenthaler.

Seguono i descrittori relativi all’odore: spezzando il pezzo con le mani e portandolo al naso, con una inspirazione lenta e profonda, si possono apprezzare aromi e odori piacevoli o spiacevoli per poi riconoscerli, richiamando alla memoria le nostre esperienze olfattive (funghi, latte, cantina, terriccio, floreale, fruttato, frutta secca, acidulo, fermentato, ecc.).

Quindi gli aspetti tattili, percepiti con le dita, tramite una lieve compressione, e in bocca, sotto i denti o con la lingua contro il palato: la resistenza alla masticazione, la friabilità o la morbidezza, l’untuosità, la solubilità, l’astringenza o la pungevolezza.

In bocca, il tattile è un tutt’uno con il gusto: concentrandosi sugli stimoli percepiti dalle papille della lingua, si può apprezzare dapprima il dolce, poi l’acido e il salato, e da ultimo, se c’è, l’amaro, il più persistente. Amaro che non sempre è un difetto… I sapori particolari, oltre a quelli citati, sono percepiti grazie al naso; se mangiamo a naso chiuso, infatti, possiamo percepire solo i quattro gusti fondamentali. Anche qui, vale la memoria gustativa: pecorino, lattico, fermentato, “tipico”, burro, cotto, nocciola, e altri ancora. Dopo aver deglutito e aver lentamente espirato l’aria dal naso percepiamo l’impronta gusto-olfattiva, che imprime nella mente un ultimo messaggio sensoriale.

L’udito partecipa? Sì, pensiamo allo scricchiolio della crosta, quando cede al coltello, o della mozzarella, tenace sotto i denti, o allo stridere della pasta compatta di alcune tome fresche.

Secondo gli esperti, per gustarlo al meglio, il formaggio da tavola deve essere portato a temperatura ambiente (2 ore fuori dal frigorifero).

Formaggio è gusto, nutrimento, storia, tradizione e benessere: il tutto racchiuso in una forma.

Lucia Sepe
CREA Centro Zootecnia e Acquacoltura

Agronomo per formazione, ricercatrice curiosa, studia fra l’altro i fattori di qualità dei prodotti lattiero-caseari e le possibili innovazioni, comunica con passione.

#lafrase Per me la vita è un immenso dono e la ricerca scientifica è una delle sue spezie più saporite (LS)

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