TESTATA GIORNALISTICA ONLINE DEL CREA, ISCRIZIONE N. 76/2020 AL REGISTRO STAMPA DEL TRIBUNALE DI ROMA DEL 29/7/2020

8.6 C
Roma
mercoledì, 11 Dicembre 2024

Cibo che si (r)innova/14: miele di bosco: dolcezza selvatica da assaporare 

Della stessa Rubrica

Ricco di antiossidanti e di sali minerali (ferro, fosforo, magnesio, manganese e potassio), che gli conferiscono la tipica colorazione bruna, interessante quindi sotto il profilo salutistico e di qualità degli alimenti, il miele di bosco è protagonista una (ri)scoperta da parte dei consumatori. Scopriamo cosa sta facendo la ricerca del CREA Foreste e Legno per la valorizzazione della melata.

Il mercato del miele sta attirando sempre di più l’attenzione dei cittadini e delle istituzioni europee. Di solito l’attività delle api è associata ai campi aperti fioriti e alle colture agricole, ma un ruolo importante per l’apicoltura è svolto anche dai boschi e dagli alberi, laddove queste componenti sono parte dello “spazio vitale” dell’ape. Il consumatore può scegliere tra una grande varietà di mieli prodotti con specie di api che vivono nei boschi, mentre è tutto da scoprire il miele di melata, non originato dal nettare delle piante, ma dalle sostanze prodotte da insetti che vivono sugli alberi forestali. 

C’è miele e miele  

Non di rado le arnie sono poste nelle aree forestali e la raccolta delle api dipende strettamente dalla presenza di alberi, come fornitori di resine per la produzione di propoli (dalle gemme di pioppi e betulle), di polline (ad esempio, dalle querce), di nettare (ad esempio, dai fiori della robinia, del tiglio, del castagno) e di melata (ad esempio, dagli abeti e dai pini). Nelle foreste aperte mediterranee arbusti come il timo, l’erica, il corbezzolo, garantiscono piccole quantità di mieli pregiati, associati a ristrette zone di produzione: miele di timo dei Monti Iblei in Sicilia orientale, quello di corbezzolo della Sardegna, di erica lungo il litorale tirrenico. Al limite superiore delle foreste alpine, invece, dove il bosco chiuso di conifere cede il passo agli arbusteti, sono le fioriture di rododendro a fornire limitate quantità di un miele chiaro e poco aromatico. 

Il consumatore, quindi, con i mieli derivati dalle specie, che crescono in bosco, non ha che da scegliere tra una grande varietà di prodotti, in funzione delle preferenze di colore, di cristallizzazione (miele liquido, denso o quasi solido), di odore (dal profumo gradevole che ricorda qualche olio essenziale, fino all’odore quasi sgradevole associabile a una sostanza artificiale), ma anche di aroma più o meno intenso e di sapore (tipico, ad esempio, quello fortemente amaro del castagno). In questa ricchezza di tipi differenti di miele si possono scoprire quelli più adatti ad essere abbinati a particolari cibi o a diverse forme di utilizzo (alimentare, medicinale).  

Miele & Sicurezza

D’altra parte, il mercato del miele vede a livello mondiale molti produttori e, purtroppo, anche contraffazioni ed illeciti. A tutela dei consumatori e della produzione, è stata emessa, infatti, la “Direttiva miele” (2001/110/CE, recepita in Italia dal d.lgs. 179/2004), mentre, a conferma dell’importanza del miele e delle api, da un punto di vista strategico in ambito comunitario sono previsti particolari programmi volti a incentivare e finanziare il settore apistico, i programmi apistici nazionali, oramai rientranti nella disciplina della nuova PAC. 

Ricerca e pratiche sostenibili  

La ricerca forestale è spesso orientata a guardare fuori dal proprio spazio e a considerare il paesaggio come insieme di ecosistemi a diverso grado di naturalità, nel quale l’attività delle api contribuisce all’impollinazione, un servizio ecosistemico fondamentale per la biodiversità vegetale e per la qualità della produzione vegetale agricola. Garantire il benessere per le api, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici e del continuo mutamento degli habitat agricoli e forestali- dovuto a incendi, disboscamenti e alle pratiche più intensive, nonché all’uso diffuso dei prodotti fitosanitari – rappresenta la sfida che vede mondo agricolo e forestale collaborare per un medesimo fine.  

La perdita degli habitat naturali e seminaturali può, infatti, portare al decremento delle popolazioni e alla perdita di biodiversità degli insetti pronubi, tra cui le api. Ciò si traduce in minore produzione di miele, ma soprattutto in minori servizi ecosistemici e in perdita di produzione agricola e alimentare: api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta e garantiscono circa il 35% della produzione globale di cibo.  

Adottare pratiche sostenibili agricole e forestali può contribuire quindi a salvaguardare l’ambiente e l’ecosistema e a tutelare maggiormente lo stato di salute delle api, la loro capacità produttiva e tutti i servizi  che svolgono per l’ambiente. Il recupero degli habitat naturali, insieme ad una drastica riduzione dei prodotti fitosanitari, così come previsto dalla strategia From Farm to Fork, e la “riprogettazione” del paesaggio agricolo e forestale, sono alcune delle strategie attuabili per contrastare la riduzione o la scomparsa degli insetti impollinatori, in particolare nelle aree a gestione più intensiva. 

Foto 1. Sciamatura delle api in primavera, un fenomeno affascinante e spesso prevedibile, che si realizza in determinate condizioni di benessere delle api, di clima mite tra maggio e giugno e di mancanza di spazio nell’alveare

L’identikit del miele di bosco: la melata 

Concretamente, la qualità di un miele parte dalla caratterizzazione botanica e dall’origine. Per questo è necessario analizzare i pollini presenti, ben distinguibili tra le diverse specie, ed accertarne una presenza minima per le specie che distinguono i diversi tipi di miele: ad esempio, considerando  il miele uniflorale (proveniente da una sola specie), per il castagno la percentuale minima di polline è del 90%, per il corbezzolo è compresa tra 10-20%, per robinia e tiglio è intorno al 20%. Tutti questi sono mieli provenienti dal nettare delle piante, un liquido in gran parte rappresentato da acqua, zucchero e costituenti minori (aminoacidi, lipidi, antiossidanti), che influenzano direttamente le caratteristiche del miele. 

Un discorso a parte merita un particolare tipo di miele non originato dal nettare delle piante: si tratta del miele di melata, conosciuto anche come miele di bosco.  La melata è una sostanza zuccherina di consistenza appiccicosa, che si forma sugli alberi, prodotta da piccoli insetti (afidi, cicaline, cocciniglie), che, nutrendosi di grandi quantità di linfa dalle piante, per ottenere gli aminoacidi necessari secernono piccole gocce di una sostanza di scarto ricca di zuccheri e sali minerali.  Queste goccioline possono essere tanto abbondanti da colare dalle foglie sui rami e, quindi, raccogliersi sulle parti sottostanti: qui diventano una fonte essenziale per la vita di formiche, funghi, api ed altri insetti.  

Il miele di melata di abete è il più tipico prodotto mellifero del bosco alpino, più raro sull’Appennino (dove l’abete rosso è circoscritto alla parte settentrionale e l’abete bianco è presente in maniera discontinua) e la produzione è dovuta all’attacco di diverse specie di insetti. È un miele scuro, con bassa tendenza a cristallizzare e un odore aromatico resinoso e caldo caramellato. Ma come si distingue, in generale, un miele di melata da uno di nettare? Innanzitutto, sono presenti i pollini delle specie forestali attaccate dagli insetti, compatibili con la flora forestale delle aree geografiche in cui può essere prodotta; poi vi sono indicatori specifici della biodiversità che è in grado di attirare la melata: spore, ife fungine e alghe unicellulari. Infine, vi sono parametri caratterizzanti legati al colore (varie tonalità di bruno, il miele è tipicamente scuro) ed altre caratteristiche chimiche e fisiche.  

Il colore più scuro è dovuto alla ricchezza di antiossidanti e alla maggior quantità di sali minerali (ferro, fosforo, magnesio, manganese e potassio), i quali incidono anche sulla più elevata conducibilità elettrica rispetto al miele di nettare. Il miele di melata è caratterizzato inoltre da una minore quantità di zuccheri, come glucosio, fruttosio e saccarosio: gli zuccheri riduttori (glucosio e fruttosio) costituiscono per il miele in generale circa il 90% degli zuccheri totali, ma devono costituire almeno il 60% del miele di nettare ed il 45% del miele di melata. 

Foto 2. La cocciniglia tartaruga (Toumeyella parvicornis), un insetto che produce melata

Miele di bosco & ricerca CREA 

Per molto tempo il miele di bosco è stato piuttosto poco apprezzato sul nostro mercato, al contrario dell’interesse maggiore nei paesi centro-europei. I tempi, però, stanno cambiando, anzitutto perché localmente si amplia la produzione di miele di melata. Ad esempio, la rapida diffusione sul pino domestico di un parassita proveniente dall’area caraibica, la cocciniglia tartaruga, in Campania e nel Lazio ha favorito la produzione locale di miele di melata da una specie fino ad oggi non considerata per questa finalità. Viceversa, nei boschi di altri pini mediterranei, come il pino d’Aleppo e il pino bruzio in Grecia e in Turchia, esiste una tradizione consolidata nella produzione di un apprezzato miele di melata. Purtroppo, come spesso accade, ogni medaglia ha il suo rovescio: accanto alla produzione di miele, infatti, si registra anche la debolezza dei pini, legata all’incredibile capacità di moltiplicarsi da parte dei parassiti, favoriti dagli inverni più caldi e dalla mancanza di competitori, .  Entomologi e forestali sono, quindi, alle prese con la ricerca del giusto “equilibrio” in grado di reggere l’esistenza di un ecosistema forestale.  

Nell’azienda sperimentale “Ovile” del CREA di Roma nell’arco di poco tempo diversi pini sono morti per effetto della cocciniglia tartaruga, mentre negli ultimi anni la produzione mellifera ha visto progressivamente aumentare la componente di melata, un segno che il giusto equilibrio non è stato ancora trovato. La ricerca forestale si trova davanti una vera e propria sfida: l’entomologo deve studiare le condizioni per limitare il parassita  dal suo adeguato antagonista, il selvicoltore può migliorare l’habitat forestale per le api, favorendo altre fonti di alimentazione, mentre a livello vivaistico forestale nuove piante e specie possono creare boschi più adatti alle future condizioni del clima e alle necessità delle api.  

Più in generale, nel momento attuale caratterizzato dalle conseguenze del cambiamento climatico, c’è bisogno di nuove conoscenze e di aggiornamento. Basti pensare, per esempio,  agli alveari, alle prese con il mutato andamento stagionale della fioritura delle specie forestali oppure alla sempre più ricorrente presenza di insetti “alieni” (ossia di nuova introduzione) da gestire in relazione alle caratteristiche degli habitat forestali. Per venire incontro a tali esigenze, presso l’azienda del CREA-Foreste e Legno di Roma vengono organizzati periodicamente eventi, nei quali forestali e apicoltori discutono gli aspetti della gestione dell’alveare per la raccolta di miele in bosco. La comunicazione aumenta la consapevolezza, arricchisce di nuove conoscenze e aiuta a modificare i comportamenti di chi si confronta in bosco con le problematiche complesse dell’attualità. L’esperienza dimostra che la modifica dei comportamenti non avviene semplicemente fornendo alle persone l’informazione scientifica, ma piuttosto garantendo una comunicazione strategica che abbia al centro il “cosa fare, quando e perché”. Così come non basta far emergere la consapevolezza delle necessità, delle esigenze o dei problemi, ma occorre coinvolgere tutti gli interessati (target audience), nel caso apicoltori e gestori del bosco, per comprendere le motivazioni che possono spingere al cambiamento dei comportamenti. 

Foto 3 – Giornata per apicoltori sul miele di melata in un bosco di eucalipto, nell’azienda sperimentale forestale del CREA-FL di Roma

Come è stato sottolineato, il miele di melata rispetto al miele di nettare è meno ricco di zuccheri e ha un maggiore contenuto in composti fenolici e attività antiossidante, caratteristiche che lo rendono interessante sotto il profilo salutistico e di qualità degli alimenti. L’attività antiossidante di un miele di melata di abete rosso o di abete può infatti essere leggermente superiore a quella di un miele di castagno, ma doppia rispetto a quella di un multiflorale (il cosiddetto miele millefiori originato dal nettare di fiori di campo) e quattro o cinque volte superiore rispetto ad un miele di tiglio o di robinia. La caratterizzazione qualitativa dei diversi tipi di miele, così come quella dell’origine e delle fonti botaniche del miele, rappresenta per questo un campo della ricerca fondamentale per apprezzare il prodotto, ma anche per individuarne possibili contraffazioni.  

Su questi argomenti si svolge una ricerca multidisciplinare, in grado di cogliere gli aspetti della qualità alimentare, dell’analisi chimica del prodotto, ma anche delle caratteristiche ecologiche delle varie specie presenti negli ecosistemi visitati dalle api. Ricercatori di diversi centri del CREA (CREA-Agricoltura e Ambiente, CREA-Alimenti e Nutrizione e CREA-Foreste e Legno) hanno collaborato recentemente su temi riguardanti le proprietà antiossidanti dei prodotti delle api derivati da piante medicinali, il rapporto tra biodiversità, sostenibilità e salute nei prodotti delle api e l’ape come anello di connessione tra la salute dell’uomo e quella dell’ecosistema, a sottolineare l’importanza di un approccio multisettoriale e aperto a contributi delle diverse discipline.  

Le api offrono una grande ricchezza di prodotti che fanno apprezzare i territori e le comunità da cui derivano, ma anche un’occasione per riflettere sul legame tra salute, biodiversità e gestione sostenibile degli ecosistemi agricoli e forestali. Il valore simbolico del miele prodotto dalle api, come espressione di una relazione reciproca tra mondo umano e naturale basata sulla sostenibilità e non sulla mera produzione di servizi da parte degli ecosistemi, assume quindi anche un profondo significato culturale. 

Giorgio Pontuale
Collaboratore Tecnico del CREA del Centro Foreste Legno, collaboro alle attività di vivaistica forestale e risorse genetiche forestali presso la sede di Roma (Azienda “Ovile”)

Laureato in Fisica, sono autore di circa 40 articoli di carattere scientifico e divulgativo su riviste nazionali ed internazionali (Scopus H-index 14)

#lafrase Vi è una pazienza della foresta, ostinata, instancabile, continua come la vita stessa (Jack London – Il richiamo della foresta) 

Valerio Di Stefano
Funzionario, Responsabile Amministrativo
CREA – Centro di ricerca Foreste e Legno

#lafrase Non è il numero che fa le capacità, ma le capacità a fare il numero

Giuseppe Pignatti
Primo tecnologo, CREA Centro di ricerca Foreste e Legno

Laureato in scienze forestali con dottorato in arboricoltura da legno, si occupa di gestione forestale sostenibile, prodotti forestali non legnosi, di studio e conservazione della biodiversità per la filiera vivaistica forestale

#lafrase In tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso (Aristotele)

Gli ultimi articoli