TESTATA GIORNALISTICA ONLINE DEL CREA, ISCRIZIONE N. 76/2020 AL REGISTRO STAMPA DEL TRIBUNALE DI ROMA DEL 29/7/2020

4.3 C
Roma
sabato, 23 Novembre 2024

Rinnovabili: a che punto siamo?

Della stessa Rubrica

È da poco on line l’ultima edizione dell’Annuario dell’agricoltura del CREA, che documenta e analizza da 75 anni la nostra agricoltura e la sua evoluzione. Uno studio fondamentale per l’elaborazione delle politiche agrarie nazionali. Quest’anno tra i temi di diversificazione troviamo le fonti di energia rinnovabile: cosa sono e cosa rappresentano per il settore agricolo, anche alla luce delle recente crisi energetica? Quali prospettive e scenari futuri si aprono? 

L’Annuario del CREA: emblema di una tradizione di studio e analisi dell’agroalimentare  

L’Annuario dell’Agricoltura italiana, fin dal 1947, analizza l’andamento del sistema agro-alimentare nazionale ed evidenzia le sue linee evolutive, caratterizzandosi come indispensabile strumento per tutti coloro che sono interessati alla conoscenza del nostro settore primario. Il Volume, coordinato da Roberta Sardone, dirigente di ricerca del CREA Politiche e Bioeconomia, è frutto di un’ampia collaborazione tra colleghi del CREA, esperti nell’analisi documentale delle diverse sfaccettature dell’agricoltura italiana e ad oggi rappresenta l’unica fonte a livello nazionale che riesce a fornire una fotografia aggiornata, rigorosa e completa della situazione agricola italiana e delle sue attività connesse. Tra queste, troviamo la produzione di energia da fonti rinnovabili.  

Rinnovabili e agricoltura 

Possiamo osservare come negli ultimi decenni le aziende agricole italiane si sono caratterizzate per l’intensificarsi dei processi di diversificazione delle attività produttive, tramite le quali l’offerta di prodotti strettamente agricoli è stata integrata con quella di prodotti e servizi meno tradizionali e più innovativi tra i quali la produzione di energie rinnovabili.  

Se consideriamo che a pesare sulla fattura elettrica degli italiani, ancora oggi, è quell’85% di energia importata che sottrae ai consumatori circa 60 miliardi di euro l’anno per l’acquisto di petrolio e gas (ENEA, 2021), è d’obbligo puntare ad una fonte alternativa che ci dia la possibilità di risparmiare sull’energia prodotta.  

In questo comparto, l’agricoltura italiana può svolgere un ruolo leader, in quanto possiede un patrimonio proveniente da campagne e boschi in grado di fornire un contributo strategico nel ridisegnare il volto energetico italiano dei prossimi anni, con l’obiettivo di creare una filiera energetica “green”, che favorirebbe occupazione ed il raggiungimento dei target energetici nazionali. 

Biomasse 

Ad oggi, la produzione di energia rinnovabile dal settore agricolo e forestale è scarsamente utilizzata e si presenta al disotto della media dell’Unione europea, nonostante abbia tutti i numeri ed il potenziale per poter produrre un quantitativo maggiore di biomassa, congiuntamente all’energia solare ed eolica. La discussione si sta concentrando sulla filiera di approvvigionamento, che vede i biocarburanti prodotti, ottenuti per la maggior parte da colture dedicate, anche se la ricerca punta allo sviluppo di biocarburanti di terza generazione ricavati da biomasse residuali; mentre, per la produzione di elettricità si utilizzano in misura sempre crescente sottoprodotti di origine biologica, in particolare scarti, residui e rifiuti dalle attività agricole, di allevamento e agroindustriali. Un recente progetto EU condotto da ITABIA, conclusosi a fine 2020 (H2020 ENABLING), indica una disponibilità potenziale pari a circa 25 milioni di t/anno di residui agricoli e agroindustriali a livello nazionale (tab. 1).

Tabella 1. Tipologia di residui provenienti dal settore agricolo ed agroindustriale in Italia (t/anno)
Fonte: ITABIA – Progetto ENABLING, 2020 

Lo studio ha messo in evidenza che il quantitativo effettivamente disponibile di biomassa per usi energetici è rilevante, e sarebbe in grado di soddisfare gran parte del fabbisogno attuale, oggi coperto per lo più da importazioni. Inoltre, tenendo conto sia della biomassa già utilizzata che di quella che non conviene raccogliere per le caratteristiche di dispersione o per la difficoltà di accesso al luogo di produzione, si tratterebbe in ogni caso di quantitativi più che rilevanti, che basterebbero a coprire il fabbisogno nazionale.  

Di fatto, le agroenergie, termine diffuso per definire l’energia prodotta dalle imprese agricole, zootecniche, forestali e dall’agroindustria, costituiscono oggi in Italia la più importante fra le fonti energetiche rinnovabili per l’ampia disponibilità di materia prima e, soprattutto, perché possono costituire la base per fornire elettricità, calore e biocarburanti con tecnologie mature e affidabili.  

Biogas, biometano e digestato 

Tuttavia, se la biomassa è una risorsa rinnovabile, continua e programmabile, non è inesauribile e deve essere utilizzata in modo da permetterne la ricostituzione senza alterare gli ecosistemi e senza entrare in conflitto con l’uso del suolo agricolo per la produzione di alimenti e mangimi. Fonte rinnovabile estremamente importante per i benefici che apporta sotto il profilo economico, sociale, ambientale e occupazionale è rappresentata dagli impianti di biogas e biometano. Ad oggi in Italia sono operativi più di 1.500 impianti di biogas (di questi 1.200 in ambito agricolo). Circa l’80% degli impianti di biogas è alimentato con biomasse agricole (effluenti zootecnici, scarti agricoli, sottoprodotti agroindustriali, colture energetiche), circa il 10% degli impianti producono biogas da frazioni organiche da raccolta differenziata di rifiuti urbani (FORSU o umido domestico), ed il restante da fanghi di depurazione e da discariche di rifiuti urbani indifferenziati (CIB, 2020). L’upgrading del biogas al biometano, ossia la separazione del metano dall’anidride carbonica, è tra le tecnologie maggiormente utilizzate e rende il biometano energeticamente efficiente. Potenzialmente il nostro Paese potrebbe produrre al 2030 fino a 8,5 miliardi di metri cubi di biometano, pari a circa il 12-13% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale. Contributo che potrebbe aiutare a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e ridurre in modo significativo le emissioni del settore agricolo, restituendo al terreno sostanza organica, attraverso il digestato, un ottimo fertilizzante naturale utilizzabile in alternativa a quelli di origine fossile. Tenuto conto che la vita utile di questi impianti è di almeno 20 anni, i posti di lavoro che potrebbero essere creati sono stabili e contribuiscono positivamente allo sviluppo del territorio e alla crescita della bioeconomia a livello locale e globale. La produzione di biogas rappresenta inoltre un elemento fondamentale per realizzare un modello virtuoso di economia circolare che si chiude con la ‘restituzione’ ai terreni della sostanza organica (digestato) non trasformata in metano o CO2. L’utilizzazione del digestato a fini agronomici, autorizzata e disciplinata dal Decreto Ministero della Politiche Agricole, Alimentari e Forestali del 25 febbraio 2016, consente di valorizzarne le proprietà ammendanti e fertilizzanti, migliorate rispetto a quelle del letame o altri residui organici impiegati come tal quali, e si traduce in un risparmio netto di sostanze chimiche di sintesi e nella riduzione delle emissioni di gas serra legate alla loro produzione, trasporto e utilizzazione. Sul fronte della sostenibilità ambientale, si tratta di una tecnologia che non mette a rischio il territorio o la salute degli abitanti, tenuto conto che le emissioni sono trascurabili e comunque inferiori a quelle che si avrebbero spandendo o lasciando sui campi il letame o altri residui organici. Un ultimo punto di particolare interesse per lo sviluppo delle agroenergie è il loro possibile ruolo nella produzione di biometano, nella più ampia prospettiva del raggiungimento degli obiettivi nazionali di diffusione dei biocarburanti avanzati.  

Fotovoltaico e agrivoltaico 

Altra fonte estremamente importante per il comparto agricolo è il solare-fotovoltaico. Ad oggi vediamo una distribuzione della potenza installata dei pannelli fotovoltaici a livello nazionale non omogenea in quanto è connessa a diversi fattori quali la posizione geografica, le caratteristiche morfologiche del territorio, le condizioni climatiche e la disponibilità di aree idonee. Secondo i dati presentati dal GSE (2022) la potenza complessiva istallata nel 2021 è di 22.594 MW. Il primato nazionale in termini di potenza installata è rilevato nella Regione Puglia con quasi 3 GW, pari al 13% del totale nazionale. Nel settore agricolo in termini di potenza installata spicca l’Emilia-Romagna, seguita dalla Lombardia e dal Veneto. I dati in figura 2 mostrano una differenza netta tra la potenza complessiva istallata e quella legata al settore prettamente agricolo. Molti degli impianti sono stati installati su terreni agricoli, rendendoli inutilizzabili per il settore. Per ovviare a questo utilizzo scorretto del suolo una grande opportunità per il settore viene dall’agrivoltaico, un sistema integrato di produzione di energia solare e agricola che riesce a massimizzare la produzione di energia elettrica da fonte solare senza compromettere la produzione agricola e zootecnica (ENEA, 2022), attraverso l’installazione, sullo stesso terreno coltivato o adibito ad allevamento, di impianti fotovoltaici.  

Tabella 2. Settore fotovoltaico potenza complessiva installata nel 2021 sul settore agricolo per regione (MW)

Un sistema che, se ben progettato, mantiene al centro l’agricoltura, valorizzandone i processi produttivi, e si contrappone nettamente al più classico solare a terra che si pone in competizione con l’agricoltura, trasformando gli impianti fotovoltaici da mero strumento di reddito legato alla produzione di energia, a vero e proprio welfare strutturale realizzato attraverso l’integrazione della produzione di energia da fonte rinnovabile con le pratiche agricole e zootecniche. Una visione totalmente diversa per affrontare gli errori del passato attraverso l’innovazione e per offrire soluzioni organiche di sostegno e sviluppo. Oggi l’agrivoltaico rappresenta non soltanto una importante integrazione al reddito delle aziende agricole, ma anche un fondamentale volano di valorizzazione di terreni abbandonati o improduttivi, in grado di assicurare nuove occasioni di crescita e di lavoro nella filiera.  

Prospettive future 

In conclusione, possiamo vedere come i dati riferiti al settore FER, ad oggi, mostrano che l’Italia è sulla buona strada per il raggiungimento degli obiettivi energetici previsti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), mentre sono ancora necessari ulteriori sforzi per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’UE. Infatti, per far sì che il 20% del consumo finale di energia ricavata da fonti rinnovabili possa diventare almeno il 30% entro il 2030 – come previsto dal PNIEC – l’Italia dovrà risolvere alcune problematiche, legate soprattutto all’attuazione di un effettivo sistema incentivante che premi qualità e quantità e alla definizione di politiche mirate a una maggiore integrazione con la vera vocazione dell’azienda agricola verso le cosiddette “colture food”.  

Tutto ciò non deve però far dimenticare la necessità imprescindibile di dover pianificare e regolamentare analiticamente la costruzione e l’installazione degli impianti, siano questi per la produzione di biogas/biometano che fotovoltaici, in particolare se a terra o su aree agricole, per i connessi impatti ambientali a carico del settore tali da poter ridurre o addirittura vanificare la finalità di salvaguardia e tutela dell’ambiente, che tali fonti di energia pulita certamente si prefiggono. 

In aggiunta, la produzione di FER in agricoltura offre anche una risposta concreta al fabbisogno energetico delle imprese agricole e del Paese, di fronte ai notevoli rincari energetici causati da vari recenti fattori di pressione internazionale, tra cui la guerra in Ucraina.  

Agricoltura ed energia non sempre si sono mosse in sintonia, anzi, non sono rari i fattori di scontro: basti far riferimento alle opposizioni locali verso lo stesso biogas, il biometano e il fotovoltaico, a cui si aggiungono anche le resistenze locali nei confronti del mini eolico, del mini hydro e della geotermia.  

Eppure, se ben progettato, un impianto energetico alimentato a FER, oltre a favorire una produzione energetica più sostenibile, competitiva e rispettosa dell’ambiente, può dare un importante contributo all’integrazione del reddito, spesso instabile, degli imprenditori agricoli, così come assicurare il contenimento dei costi di produzione, la cui evoluzione è fonte di grande preoccupazione per la sostenibilità economica delle imprese agricole. 

Valentina Lasorella
Ricercatrice CREA Politiche e Bioeconomia

Referente Regionale per la Rete Rurale dell’Emilia-Romagna, si occupa di vari temi che spaziano dalla valutazione agroclimatico ambientale, con riferimento alla gestione del suolo e della biodiversità, alla valorizzazione di attività connesse in ambito agricolo, come il settore delle energie rinnovabili. Svolge attività di supporto tecnico-scientifico nell’ambito della pianificazione delle politiche per il biologico, consulenza (AKIS). 

#lafrase Carpe Diem – cogli l’attimo (Orazio)

Gli ultimi articoli