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sabato, 23 Novembre 2024

Emergenza energetica e settore agroalimentare: quali soluzioni?

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La situazione generata dalla crisi energetica del gas a seguito delle sanzioni imposte dall’Unione Europea (UE) alla Russia – a causa della guerra scatenata in Ucraina – evolve con cadenza quasi quotidiana per le fluttuazioni sia dei prezzi, sia degli approvvigionamenti stessi e una delle domande ricorrenti degli ultimi tempi è se l’Italia riuscirà a sostituire completamente le forniture energetiche russe.   

Per quanto riguarda il breve termine, il Ministero della Transizione Ecologica ha varato un piano strategico nazionale. Inoltre, il 28 settembre scorso il Governo ha comunicato che è stato raggiunto in anticipo l’obiettivo di stoccaggio di gas del 90% (equivalente a circa 10,8 Mld di m3) grazie anche a Snam e al supporto di GSE e Arera. 

In tutti gli scenari possibili, comunque, i consumi nazionali andranno necessariamente ridotti. Prima ancora della messa in atto del piano, gli italiani hanno già risparmiato circa il 5% a causa del caro bollette, ma, per poter superare l’inverno, è necessario almeno arrivare al 10% di risparmio sui consumi, come richiesto dal piano del Governo. A queste condizioni, immaginando, inoltre, la chiusura totale delle forniture dalla Russia, tutte quelle provenienti dalla Norvegia sarebbero convogliate verso la Germania più bisognosa, privando l’Italia di un ulteriore condotto. Dunque, si arriverebbe a marzo 2023 a quasi zero scorte, intaccando anche quelle strategiche, senza prendere in considerazione uno scenario estremo di inverno rigido. Quello che è sicuro è che, indipendentemente da come andrà l’inverno, con le scorte azzerate e il gas russo chiuso in tutta Europa, l’Italia dovrà invertire rotta per il futuro e trovare un rimedio alla dipendenza dal gas. 

Consumi energetici nel comparto agricolo ed agroindustriale 

Il settore agricolo e agroindustriale consuma in Italia il 13% circa dell’energia totale, significativamente meno che nell’Unione Europea (26% dei consumi finali – Fonte ENEA). 

Il sistema agroalimentare comprende un insieme complesso di attività ed un numero elevato di soggetti economici afferenti, riuniti in tre grandi comparti: l’agricoltura (produzione primaria che fornisce le materie prime), l’industria agroalimentare di trasformazione (produzione secondaria) e la rete di distribuzione dei prodotti alimentari (che comprende il commercio all’ingrosso, al dettaglio e alla ristorazione). I beni alimentari rappresentano il settore più importante dell’industria manifatturiera della UE, con una presenza di piccole e medie imprese di oltre il 90% e soltanto l’1% di grandi imprese.  

Il nostro sistema agroalimentare produce circa 5 Mld di tonnellate (T) l’anno di prodotti alimentari, di cui 2,4 Mld di frutta e verdura. I consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e i trasporti, mentre tra i consumi indiretti ci sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica (4,7 Mtep).  

Il comparto alimentare richiede ingenti quantità di energia (soprattutto sotto forma di calore ed energia elettrica) per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro (8,6 Mtep). Si tratta di una bolletta energetica consistente, nonostante il contenimento dei consumi energetici, grazie sia alle nuove tecnologie (anche 4.0) che ottimizzano l’impiego dei fattori della produzione sia all’impegno degli agricoltori per una maggiore sostenibilità delle produzioni. Non va dimenticato che, a migliorare il bilancio energetico della filiera, ci sono gli investimenti nell’economia circolare con la produzione di bioenergie: dal fotovoltaico sui tetti di stalle e sui capannoni rurali fino alla valorizzazione dei reflui degli allevamenti con il biogas ed il biometano, comparto che va adeguatamente sostenuto. 

Le fonti energetiche in Italia 

Negli ultimi 150 anni l’uomo ha fatto un uso massiccio di carbone, petrolio e altri combustibili fossili per avere l’energia necessaria ad accendere una lampadina, far funzionare veicoli o mettere in moto una fabbrica.  I   combustibili   fossili   sono  praticamente alla base   di   qualsiasi   aspetto   della  nostra  vita  e, di conseguenza, l’emissione di gas serra provocata dalla loro combustione ha raggiunto livelli storicamente insuperati. A queste fonti fossili vanno aggiunte quelle di energia rinnovabile, si tratta di 1.211 MW di nuova potenza installata nel primo semestre 2022, (+168% rispetto allo stesso periodo del 2021), così suddivisa: 1.061 MW per il fotovoltaico (+193%), 123 MW per l’eolico (+66%) e 27 MW per l’idroelettrico (+72%). 

Attualmente in Italia le fonti energetiche utilizzate si concentrano sull’utilizzo dei derivati dal petrolio (55,3 Mln di T), del gas naturale (73 – 76 Mld di mc3 di gas all’anno 2018-2021) ed in minima parte del carbone (nel 2021 l’Italia ha prodotto circa 14 Terawattora -TWh di carbone, pari al 4,3% del fabbisogno elettrico italiano, un valore che rappresenta circa il 4,9% della produzione totale netta di energia elettrica italiana), con tutti i conseguenti problemi di inquinamento ambientale.  

Energie rinnovabili  

A rigor di termini, per energia rinnovabile si intende esattamente quello che il suo stesso nome dichiara: è definibile  come  perpetuamente   disponibile ovvero, secondo   l’Amministrazione   delle   Informazioni Energetiche, è un’energia “virtualmente inesauribile”. Ma “rinnovabile” non significa necessariamente sostenibile, come ritengono coloro che si oppongono all’impiego dell’etanolo derivato dal mais o alle grandi dighe idroelettriche. Non include, inoltre, altre fonti di energie a basse o zero emissioni che hanno sostenitori propri, come l’energia nucleare. 

Energia solare  

L’energia fotovoltaica consente di trasformare l’energia radiante del sole in energia elettrica. L’energia termica solare viene utilizzata in tutto il mondo per produrre acqua calda, riscaldamento e aria condizionata. 

Nel settore agricolo, poiché il maggiore fabbisogno idrico si ha proprio in corrispondenza dei mesi di massima intensità della radiazione solare, (anche per pompaggio dell’acqua a scopi irrigui e/o di abbeveraggio in corrente alternata), l’utilizzazione dell’energia solare per il sollevamento dell’acqua a scopi irrigui è stata ed è oggetto di numerose ricerche ed applicazioni industriali. La conversione fotovoltaica dell’energia solare è la tecnologia che, ad oggi, offre più di ogni altra risultati concreti e prospettive di sviluppo. L’aspetto interessante di questo settore è che l’energia solare, viene direttamente trasformata in energia elettrica senza l’intervento di parti meccaniche in movimento e che il dispositivo ha un elevato grado di affidabilità.  

Dai tetti domestici fino a grandi impianti solari, l’energia solare sta riconfigurando i mercati dell’energia di tutto il mondo. Nel decennio che va dal 2007 al 2017 la capacità di energia installata totale proveniente da pannelli fotovoltaici è aumentata fino a un incredibile 4.300 per cento. Cina, Giappone e USA sono in testa nella conversione di energia solare. 

Grazie al 2022 record, l’anno della crisi energetica internazionale, la capacità cumulata del fotovoltaico in Europa è cresciuta del 25% in appena 12 mesi, passando da 167,5 GW a 208,9 GW (Fonte Solar Power Europe).   

Agrivoltaico  

Ben si inserisce l’integrazione del fotovoltaico nell’attività agricola (agrivoltaico), con installazioni, che permettono di continuare le colture agricole o l’allevamento e che prevedono un ruolo per gli agricoltori, che vanno ad integrare il reddito aziendale e a prevenire l’abbandono dell’attività produttiva. Un modello che, anziché sostituire, integri la generazione fotovoltaica nella organizzazione di un’azienda agricola, in cui la produzione elettrica, la manutenzione del suolo e della vegetazione risulti integrata e concorrente al raggiungimento degli obiettivi produttivi – economici e ambientali – del proprietario/gestore dei terreni.  

Nella transizione energetica che si auspica, entro il 2030 il Piano nazionale per l’energia e clima (PNIEC), conservativamente, ipotizza una crescita di 3,5 volte del fotovoltaico, che rappresenta la fonte soggetta a maggiori potenziali di incremento, con la realizzazione di nuove superfici di pannelli per una potenza di oltre 75 GWp. Per il fotovoltaico, un fattore limitante delle installazioni è dunque, oggi, la disponibilità di superfici e tutti gli operatori “energetici” e i politici sanno che gli ambiziosi obiettivi del PNIEC non si potranno raggiungere senza una consistente quota di nuova potenza fotovoltaica costruita su terreni agricoli. 

Il Piano Strategico Nazionale (PSN) – ovvero lo strumento nazionale di programmazione a cui la riforma della PAC 2020-2027 assegna il ruolo di definire gli obiettivi e le linee di finanziamento e incentivazione – sviluppa canali preferenziali di sostegno agli investimenti agroecologici aziendali fra cui quelli che contemplano l’integrazione agrivoltaica attraverso le misure di secondo pilastro (i finanziamenti per lo sviluppo rurale), specialmente per le piccole aziende, abbinandole alle misure per la conservazione e il ripristino di ecosistemi naturali o seminaturali in ambito aziendale.  

Si parla di un “agrivoltaico agroecologico” in cui l’azienda agricola utilizza le installazioni fotovoltaiche sia come investimenti produttivi, sia come strumenti di gestione territoriale finalizzati a massimizzare – e contestualmente rendere economicamente sostenibili – le funzioni che presidiano alla produzione di utilità pubbliche riconosciute (ad esempio dalla programmazione PAC) e benefici ecologici che avvantaggino la stessa conduzione agricola aziendale, in ottica di miglioramento anche qualitativo delle sue produzioni.  

L’applicazione fotovoltaica a sistemi di coltivazione di foraggi, nella prospettiva della nuova riforma PAC, deve poter consentire un più coerente utilizzo delle risorse derivanti dagli aiuti comunitari, al fine di rendere sostenibili e di stabilizzare gli investimenti per assicurare l’adesione alla condizionalità rafforzata e agli ecoschemi, condizione tanto più necessaria, anche in ottica di mitigazione, in un comparto che è ritenuto responsabile di significativi impatti ambientali.  

L’integrazione agrivoltaica, inoltre, può rivelarsi alleata nei processi di innovazione aziendale volti a cogliere le opportunità delle tecniche agricole conservative, dell’agricoltura di precisione, della conversione a biologico e dell’adesione a disciplinari di qualità (es. latte fieno, razze autoctone, denominazioni d’origine, ecc.), che incontrano crescente interesse da parte del mercato e dei consumatori. Nelle regioni a maggiore ed eccessiva intensità zootecnica, l’agrivoltaico sviluppato con approccio agroecologico può così favorire l’orientamento produttivo alla qualità del prodotto e al miglioramento ecologico del paesaggio agrario. 

Energia eolica 

Il generatore eolico è il dispositivo che consente di trasformare l’energia ricavata dal vento in energia meccanica attraverso la rotazione delle pale eoliche e poi, per mezzo di un generatore elettrico ad esse collegato in energia elettrica che può essere immessa nella rete. 

Lo sfruttamento del vento come fonte di energia è iniziato più di 7.000 anni fa. Oggi, la generazione di elettricità con turbine eoliche sta proliferando in tutto il pianeta e Cina, U.S.A. e Germania sono i principali produttori di energia eolica. Anche se la maggior parte dell’energia eolica proviene da turbine situate sulla terraferma, stanno cominciando ad apparire anche impianti situati in mare (off shore), in particolare nel Regno Unito e in Germania. 

Si potrebbe mettere in discussione l’interferenza delle turbine eoliche a livello paesaggistico o il rumore che producono, ma l’energia eolica, i cui prezzi si stanno riducendo, sta dimostrando di essere una risorsa troppo preziosa per rinunciarvi.  

Un sistema dove il generatore eolico è integrato con un sistema fotovoltaico può provvedere al fabbisogno dell’azienda agraria, particolarmente in periodi di bassa o assente insolazione. 

Pila a combustibile (fuel cell

Una pila a combustibile, detta anche cella a combustibile (fuel cell) è un dispositivo elettrochimico in grado di convertire direttamente l’energia chimica in energia elettrica tramite un processo a temperatura costante in cui l’idrogeno viene combinato con l’ossigeno per formare acqua.

In tempi più recenti si sono avuti ulteriori sviluppi tecnologici, prima negli anni Settanta, a seguito dei programmi spaziali che hanno selezionato le celle a combustibile quali sistemi preferenziali per l’alimentazione elettrica a bordo di importanti missioni, come i programmi Gemini e Apollo e, più recentemente, in relazione alle loro potenzialità nel rinnovamento energetico (ciclo di idrogeno) e nel trasporto ecosostenibile (veicoli elettrici). 

L’idrogeno  

L’idrogeno è l’elemento più abbondante nell’universo, ma allo stato puro non è disponibile nel nostro pianeta. La maggior parte dell’idrogeno “conveniente” può essere estratto da altre sostanze con procedure chimiche ed elettrolitiche, oppure può essere prodotto da altri combustibili, utilizzando sostanze ad elevato contenuto energetico, come i combustibili fossili (reforming del metano e carbone), ma questi metodi, oltre ad esaurire risorse non rinnovabili, generano CO2 in quantità maggiori rispetto a quelli convenzionali. L’idrogeno può essere prodotto anche con l’elettrolisi dell’acqua, impiegando notevoli quantità di energia elettrica prodotta da grandi impianti fotovoltaici. 

L’idrogeno può essere usato come materia prima, combustibile, vettore o accumulatore di energia rinnovabile, in grado di assorbire le fluttuazioni di alimentazione elettrica da fonti come la cella fotovoltaica e/o turbine eoliche e può anche essere utilizzato in dispositivi ad alta efficienza energetica, come le turbine ad idrogeno e le celle a combustibile che sono in grado di utilizzare idrogeno producendo energia elettrica con una buona efficienza. 

In teoria, l’unica emissione delle celle a idrogeno è acqua pura. Le celle a idrogeno sono più efficienti rispetto al motore a combustione interna, diesel e, in modalità di cogenerazione, (elettricità e calore) gli impianti di celle a combustibile forse raggiungeranno un’efficienza energetica pari all’80-85%. Altre tecnologie innovative, in concorrenza con le pile a combustibile ad idrogeno, dimostrano un’efficienza elettrica al 50%.  

In Europa cresce rapidamente l’interesse per l’idrogeno come soluzione per decarbonizzare i processi industriali e i comparti economici nei quali la riduzione delle emissioni di carbonio è più difficile. Tutto ciò lo rende essenziale per sostenere l’impegno dell’Unione europea di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.  

La visione strategica prevista dal Green Deal europeo prospetta la crescita della quota dell’idrogeno nel mix energetico europeo, oggi inferiore al 2%, fino al 13-14% entro il 2050. La priorità dell’UE è sviluppare l’idrogeno rinnovabile, usando principalmente energia eolica e solare. Il percorso individuato prevede entro il 2024 l’installazione di 6 GW di elettrolizzatori per arrivare ad un installato di 40 GW entro il 2030.  

Nel nostro Paese, per avviare lo sviluppo del mercato dell’idrogeno decarbonizzato, si prevede l’installazione di circa 5 GW di capacità di elettrolisi entro il 2030, integrata con le importazioni o con altre forme di idrogeno a basse emissioni di carbonio. Ciò offrirà una concreta opzione di decarbonizzazione dei processi ai settori della chimica di sintesi e della raffinazione di petrolio che già oggi usano idrogeno ottenuto da fonti fossili. In ambito industriale, numerose sono oggi le sperimentazioni in corso in Europa ed in Italia, sul lato della produzione di idrogeno, dell’utilizzo puro o miscelato e del suo vettoriamento attraverso le reti esistenti.  

In Italia, l’uso di idrogeno in ambito industriale è già una realtà: la domanda attuale di Idrogeno è di circa 0,5 Mil T anno. Esso è principalmente usato nei settori della chimica di sintesi e della raffinazione di petrolio. In entrambi i casi, l’idrogeno è principalmente prodotto in loco nella sua forma “grigia”, cioè dal gas naturale, usando Steam Methane Reformers – SMRs. In questo processo il gas naturale, reagendo con vapore acqueo ad alta temperatura, viene separato in idrogeno (H2) e anidride carbonica (CO2).  

Per produrre un kg di idrogeno servono circa 5 m3 di gas. Questo processo non è a emissioni zero, le sue emissioni per kg di idrogeno grigio prodotto sono di circa 9 kg CO2 / kg H2. Nel settore della chimica di sintesi l’idrogeno viene impiegato come materia prima nella produzione di prodotti chimici di base, in particolare per la produzione di ammoniaca e di fertilizzanti azotati e in quella di metanolo: in tale settore oggi si utilizzano circa 200 milioni di metri cubi di gas per la produzione di idrogeno. 

L’interesse per uno sviluppo accelerato dell’idrogeno è rimarcato anche nel PNRR dove sono complessivamente 3.64 Mld € i fondi previsti nella misura e dedicati esplicitamente allo sviluppo di progettualità legate all’idrogeno. 

Energia da biomassa 

Il termine biomassa letteralmente significa ‘massa vivente’ ed è stato inizialmente usato per indicare l’insieme degli organismi che vivono in un ecosistema. Recentemente il termine è stato usato per indicare i materiali organici residui da attività agricole o appositamente prodotti e i rifiuti urbani che, per il loro contenuto energetico, possono essere usati direttamente come fonte di energia o indirettamente attraverso processi biotecnologici.

La biomassa è l’unica fonte di energia rinnovabile che può essere convertita in energia per “combustione diretta”. 

È una fonte rinnovabile, ma può esaurirsi causa un eccessivo sfruttamento da parte dell’uomo tanto che troppo spesso non costituisce più una risorsa rinnovabile. 

In uno studio commissionato dalle Nazioni Unite per la conferenza sull’ambiente e lo sviluppo di Rio del 1992, si valutò che, investendo risorse adeguate, le biomasse avrebbero potuto fornire entro la metà del XXI secolo il 55% dell’energia attualmente consumata. Tale obiettivo implicava, però, una disponibilità tutt’altro che assicurata di terreni, fertilizzanti ed acqua per irrigazione. I concreti programmi posti in atto per un intensivo sfruttamento delle biomasse non hanno d’altro canto dato i risultati sperati.  

Si è messa in evidenza, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, una tendenza che pesa assai negativamente sulla risorsa ‘biomasse’: il fatto è che troppo spesso essa non costituisce più una risorsa rinnovabile, per il ritmo eccessivo con cui l’ambiente che la produce viene sfruttato.  

In molte parti del mondo, la legna da ardere diviene una risorsa sempre più scarsa via via che la popolazione cresce e trasforma le foreste in terre agricole e gli alberi superstiti vengono bruciati come combustibile. La penuria di combustibile fa sì che i residui dei raccolti ed il letame animale, che altrove fornisce un valido fertilizzante, vengano bruciati nei fornelli (Martignetti, 2005).  

Si può prevedere che alle biomasse spetti in un futuro energetico ‘ecologicamente guidato’ un ruolo certamente importante, a patto però di restituire loro il carattere di fonte realmente rinnovabile, attraverso un uso corretto della forestazione produttiva tradizionale, il sistematico sfruttamento degli scarti della produzione agricola, la promozione di nuove tecniche colturali. Sempre più spesso, con l’impiego di macchinari potenti, le foreste vengono rase al suolo per ricavarne terreni agricoli, riducendo drasticamente la quantità di combustibile e di energia offerti da queste “riserve naturali”. 

L’energia proveniente da biomassa include bio-combustibili quali etanolo e biodiesel, legno e scarti di falegnameria, biogas da discariche e rifiuti solidi urbani. Come avviene per l’energia solare, la biomassa è una fonte di energia flessibile, in grado di fornire carburante per veicoli, riscaldamenti domestici e di produrre elettricità.  

Biogas e Biometano 

Il biogas è prodotto dalla fermentazione anaerobica di sostanze organiche all’interno di un fermentatore a tenuta stagna. Questo processo trasforma i materiali organici in biogas utilizzando un processo biologico complesso a circa 38-55 °C.

Più della metà del gas risultante da questo processo è costituito da metano (CH4), mentre il resto è anidride carbonica (CO2). 

Lo sviluppo di tecnologie legate alla produzione ed all’utilizzo del biogas è stato un elemento importante a fornire un contributo concreto al raggiungimento degli obiettivi posti a livello Europeo dalla Direttiva 2009/28/CE e dal Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione delle energie da fonti rinnovabili per il 2020. 

Ad oggi il biogas è utilizzato prevalentemente per combustione diretta in caldaia con produzione di energia termica, in motori a combustione interna (ICE) per la produzione di energia elettrica e, soprattutto, in sistemi di cogenerazione per la produzione combinata di energia termica ed elettrica (CHP). Un’alternativa interessante è quella della valorizzazione del biogas, trasformandolo con un processo di “upgrading” in un gas assimilabile al gas naturale (biometano), che può essere utilizzato per autotrazione o può essere immesso nella rete di distribuzione del gas.  

Legato alla filiera energetica del biogas vi è, dunque, lo sviluppo di tecnologie, che consentano di raffinare il biogas prodotto localmente, rimuovendo cioè i contaminanti presenti e l’elevato contenuto di CO2 (35-45%) ed aumentare così il potere calorifico.  

Ad aprile 2022 sono operativi e/o in fase di avvio 30 impianti per circa 284 milioni di Sm3 (Fonte Consorzio Italiano Biogas – CIB). La produzione di biometano da filiera agricola, sfruttando gli scarti agricoli e i reflui zootecnici, consente da un lato di contenere le emissioni del settore agricolo, dall’altro di aumentare anche la capacità del suolo di stoccare anidride carbonica. 

Sottoprodotto della produzione di biogas sono i digestati (solido e liquido), che possono essere a loro volta utilizzati come fertilizzante. 

Particolarmente interessante è la produzione di biometano da rifiuti organici urbani (FORSU). Tale filiera consente di valorizzare la frazione organica dei rifiuti, ottenendo da essi da un lato una forma di energia rinnovabile e dall’altro di utilizzare la CO2 prodotta dalla depurazione del biogas per usi industriali, ad esempio nell’industria alimentare (che oggi è costretta ad importarla). Ad oggi, gli impianti di biometano da FORSU attivi sono 27, di cui 23 direttamente allacciati a rete SRG e 4 su rete di distribuzione.  

I biocombustibili possono aumentare il reddito delle aziende agrarie e contribuire allo sviluppo rurale. Aree rurali svantaggiate potrebbero subire una riqualificazione in seguito allo sviluppo della produzione di biogas. I biocombustibili possono contribuire alla riduzione delle emissioni di carbonio, tuttavia, le emissioni di gas serra derivanti dalla loro produzione rappresentano una problematica chiave che richiede molta attenzione, poiché derivano da ogni singolo passaggio del processo produttivo (produzione trasporto e conversione della biomassa, distribuzione ed uso degli stessi). Recentemente alcuni studi hanno evidenziato come la riduzione delle emissioni di CO2 potrebbe risultare inferiore alle aspettative considerando i costi energetici derivanti dalla gestione agronomica delle biomasse dedicate (se non sono scarti).  

Energia idroelettrica 

Per secoli, si è sfruttata l’energia ricavata dallo scorrere dei fiumi, con il ricorso a dighe di controllo del flusso dell’acqua.  

Ad oggi l’energia idroelettrica rimane in assoluto la maggiore fonte di energia rinnovabile, i cui maggiori produttori sono Cina, Brasile, Canada, Stati Uniti e Russia. L’energia idroelettrica in teoria è una fonte di energia pulita, ripristinabile con pioggia e neve, ma ha anche vari svantaggi. 

  • Le grandi dighe possono distruggere gli ecosistemi fluviali e le comunità circostanti, provocando danni alla fauna e lo spostamento delle popolazioni che vi risiedono.  
  • La generazione di corrente idroelettrica è soggetta alla formazione di fanghi che possono comprometterne la capacità e danneggiarne gli impianti.  
  • L’energia idroelettrica, nella piena capacità, comporta egualmente problemi di emissioni sotto forma di metano che scaturisce dalla decomposizione di materiali organici all’interno dei bacini idrici. 

Le dighe non sono l’unico metodo di utilizzare l’acqua per l’energia: in tutto il mondo esistono progetti basati sui cicli delle maree che mirano a catturare i ritmi naturali dell’oceano. Si stima che i progetti di energia marittima attualmente generino 500 MW di potenza, meno dell’uno per cento di tutte le energie rinnovabili, ma il potenziale è infinitamente superiore.  

Energia geotermica 

Utilizzata per millenni in alcuni paesi per la cucina e per il riscaldamento, l’energia geotermica viene ricavata dal calore interno della Terra. In grande scala, i bacini sotterranei di vapore e acqua calda possono essere sfruttati attraverso pozzi che possono inoltrarsi per un chilometro od oltre per generare elettricità. Su scala più ridotta, alcuni edifici dispongono di pompe di calore geotermiche che sfruttano le differenze di temperatura situate vari metri sotto la superficie terrestre per riscaldamento e raffreddamento. Contrariamente all’energia solare e a quella eolica, l’energia geotermica è sempre disponibile, ma ha effetti collaterali che vanno gestiti, come l’odore di uova marce che accompagna lo sfiato di idrogeno nell’aria aperta

Diffusione in Italia delle fonti di energia rinnovabile

Relativamente alle fonti di energia rinnovabile (FER), nel 2021 queste hanno trovato ampia diffusione in Italia sia per la produzione di energia elettrica, sia per la produzione di calore, sia in forma di biocarburanti; complessivamente, l’incidenza delle FER sui consumi finali lordi è stimata intorno al 19%. Nel settore elettrico è stato registrato un significativo calo della fonte idroelettrica (-5,9% rispetto al 2020, principalmente a causa della diminuzione delle precipitazioni), che ha comunque contribuito alla produzione totale per il 15,7%. Sostenuto incremento, invece, per la fonte eolica (+10,8%); questa e la fonte fotovoltaica hanno raggiunto insieme la copertura del 16,1% della produzione lorda; il restante 8,5% è stato ottenuto da geotermico e bioenergie. Nel complesso, l’incidenza della quota FER sul Consumo Interno Lordo di energia elettrica (CIL) è scesa dal 37,6% al 35,0%. Nel settore termico, invece, i consumi di energia da FER sono aumentati del 5% circa rispetto al 2020, principalmente per il maggiore impiego di biomasse solide (legna da ardere, pellet: il 2021 è stato un anno mediamente più freddo del precedente). Nel settore dei trasporti, infine, è stato registrato un incremento dell’immissione in consumo di biocarburanti rispetto all’anno precedente pari a 15%.  

Il sistema italiano di incentivazione delle energie rinnovabili, in particolare nel settore elettrico, ha giocato un ruolo determinante nell’ultimo decennio per la diffusione degli impianti sul territorio e per il raggiungimento di alti livelli di penetrazione delle rinnovabili nel settore elettrico. A fine 2021 il totale degli impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili incentivati ha raggiunto il milione di unità, per una potenza di circa 38 GW e un’energia rinnovabile incentivata di 65 TWh. 

Per quanto riguarda l’efficienza energetica, i risparmi energetici conseguiti nel precedente ciclo di obiettivi 2014-2020 sono stati pari a un risparmio cumulato di 23.241 ktep, pari al 91% dell’obbligo stabilito dall’art. 7 della Direttiva Efficienza Energetica. Nel corso del 2021 il quadro delle politiche Comunitarie è cambiato rapidamente, stabilendo ambiziose tabelle di marcia verso l’appuntamento intermedio del 2030, in vista della neutralità climatica del 2050. L’Italia sta provvedendo ad una riformulazione delle proprie strategie e dei propri obiettivi sul risparmio energetico, adattando le proprie potenzialità ai profili del mutato scenario. Nel contesto di decarbonizzazione dell’energia, si segnala l’utilizzo della rete gas come vettore di energia rinnovabile, per mezzo di crescenti iniezioni di biometano. Si evidenzia anche la crescita del gas naturale liquido (GNL) come carburante nei trasporti pesanti che nel 2021 è stata pari a circa 230 milioni di metri cubi (+66 Mln m3 rispetto al 2020). 

La ricerca CREA può fornire soluzioni 

Nel 2016 il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha finanziato al CREA, con il coordinamento del Centro di Ricerca Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari un progetto strategico denominato AGROENER. 

L’obiettivo generale del progetto fa riferimento alla crescente necessità dell’Europa di ridurre la dipendenza da fonti fossili, di contribuire alla mitigazione dell’effetto dei gas climalteranti e di incentivare l’impiego delle materie prime rinnovabili. Tale approccio metodologico richiede l’individuazione di soluzioni di prodotto e di processo innovative, efficienti e ambientalmente sostenibili. Le priorità di ricerca del progetto hanno interessato: la tipologia di materia prima, il miglioramento delle tecnologie con- l’ottimizzazione dei processi di trasformazione (biogas, energia termica, energia elettrica); l’efficienza nell’uso dell’energia sia da parte delle macchine (anche attraverso l’uso di carburanti alternativi autoprodotti da rinnovabili) sia delle strutture (soprattutto quelle particolarmente energivore, come ad esempio le colture protette). Il progetto ha voluto sviluppare nuove conoscenze scientifiche e applicative e trasferirle al comparto agricolo, prevedendo un’interazione con gli attori del sistema sia per stimolare approfondimenti specifici sia per offrire spazi e ambiti formativi, dimostrativi e divulgativi. 

Le fonti energetiche rinnovabili svolgono un ruolo di primo piano nell’ambito del sistema energetico italiano, essendo già maturata una esperienza ultradecennale di sostegno pubblico. Quanto ai target 2030, il quadro normativo, sia a livello comunitario che nazionale, è in piena evoluzione. La “legge europea sul clima” ha delineato un più ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. E’ dunque in corso una revisione al rialzo degli obiettivi in materia di riduzione di emissioni, energie rinnovabili e di efficienza energetica, già fissati nel 2018 dal Clean energy package.  

Appare opportuno evidenziare che, tra le sei grandi aree di intervento dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), figura in primis la transizione verde. Così, i cospicui investimenti contenuti nel PNRR per accelerare e potenziare la produzione di energia elettrica da FER e lo sviluppo dell’idrogeno sono già “tarati” su obiettivi più ambiziosi di quelli delineati per il 2030 dal PNIEC. 

Nel nostro Paese sono presenti almeno 1,35 milioni di impianti da fonti rinnovabili, distribuiti in tutti i Comuni italiani per una potenza complessiva di 60 GW. Parliamo di circa 7.127 Comuni in cui è presente almeno un impianto solare termico, di 7.855 Comuni in cui sono presenti impianti solari fotovoltaici, di 1.054 Comuni in cui è presente almeno un impianto eolico. Ma anche di 1.523 Comuni in cui è presente almeno un impianto idroelettrico, a cui si aggiungono i 4.101 delle bioenergie e 942 Comuni della geotermia (Fonte Legambiente). Numeri, sicuramente importanti, ma che appartengono nei fatti, ancora, ad un’eredità del passato, insufficienti ad affrontare le sfide che abbiamo davanti. Numeri che rischiano di farci raggiungere l’obiettivo di 70 GW previsto al 2030, prendendo la media di installazione, tra solare ed eolico, degli ultimi tre anni – pari a circa 489 MW – tra 143 anni! 

Tra i principali vantaggi per il sistema Paese, ci sono quelli ambientali nella lotta contro l’emergenza climatica e nella riduzione degli inquinanti atmosferici, favorendo il processo di decarbonizzazione nei settori termico e dei trasporti. Un potenziale, che se sfruttato permetterebbe investimenti in fonti rinnovabili stimati in 13,4 Mld di euro nel periodo, con ricadute economiche sulle imprese italiane attive lungo la filiera pari a circa 2,2 Mld di euro, senza dimenticare un incremento del gettito fiscale stimato in circa 1,1 Mld di euro, la nascita di 19mila nuovi posti di lavoro e 47 Mil T di CO2 evitate in atmosfera (Fonte Legambiente). 

Una maggiore attenzione verso una reale gestione sostenibile dell’agricoltura ai fini della diminuzione dei costi energetici e degli impatti ambientali e l’introduzione di innovazione tecnologica si pongono ormai come strategie prioritarie per il sistema agricolo-alimentare.  

Bisogna perciò realizzare la più ampia collaborazione tra istituzioni, agenzie, mondo scientifico e consumatori per rendere il sistema agricolo-alimentare meno energeticamente intensivo e più sostenibile riguardo le risorse naturali di energia, aria, acqua e suolo, conservando – grazie alla ricerca ed all’innovazione – il suo pieno potenziale produttivo. 

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