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Sostenibilità in pratica /2 – Esperienze concrete dai progetti di ricerca europei del CREA

Della stessa Rubrica

La sostenibilità, riconosciuta nelle sue tre dimensioni, economica, sociale ed ambientale, è diventata sempre più un tema centrale di tutte le attività, che riconoscono nell’ambiente un volano allo sviluppo economico, accompagnato dalla crescente consapevolezza dell’importanza di misure e azioni condivise a livello mondiale come unica soluzione allo sfruttamento e danneggiamento degli ecosistemi naturali. Ma come attuarla nel concreto? Scopriamo due progetti CREA basati su approcci partecipativi, volti ad ottimizzare l’impiego delle risorse naturali e la loro gestione integrata

La sostenibilità è ormai al centro di qualsiasi attività, produttiva e non, economica o sociale, istituzionale o a carattere di impresa. Tuttavia, comprendere appieno il senso (e non solo il significato) della parola sostenibilità necessita di una piccola premessa, sia a livello teorico,  guardando quindi alle principali definizioni attualmente in uso, sia a livello pratico, attraverso storie ed esperienze concrete di persone, che hanno messo al centro della loro vita personale e professionale questo modo di agire nei diversi ambiti e contesti.

Un po’ di storia

In principio il concetto di sostenibilità rappresentava semplicemente l’idea di agire, senza “comprometterne la disponibilità per le generazioni future”, con specifico riferimento all’utilizzo delle risorse naturali. Tale approccio prettamente conservativo, comincia a diffondersi a livello accademico con i primi corsi di laurea basati su specifiche tematiche ambientali (es. economia dell’ambiente, ingegneria ambientale, ecc.) e, sul finire del secolo scorso, diventa sempre più presente nel dibattito scientifico internazionale, grazie al riconoscimento di una serie di limiti bio-fisici del pianeta, che si manifestano in maniera sempre più frequente e con intensità maggiore, a causa dei processi di sviluppo indiscriminati delle principali economie mondiali.

Ne è la dimostrazione principale ed è forse l’elemento scatenante di un cambio culturale in atto, l’enorme risonanza del protocollo siglato a Kyoto (1997), dove i principali paesi sviluppati e in via di sviluppo si riuniscono per aderire ad  accordi volontari per la riduzione della temperatura globale, vera causa dei cambiamenti climatici in atto. Nuove definizioni vengono quindi affiancate alla principale visione conservativa, si inizia a parlare di sviluppo sostenibile e di green economy, di energie rinnovabili e di emissioni di GHG (gas ad effetto serra), di recupero e riuso di scarti di produzione e rifiuti, fino a consolidare il concetto di economia circolare e bioeconomia.

Ad oggi, la dimensione della sostenibilità è universalmente riconosciuta nelle tre prospettive, economica, sociale ed ambientale ed è diventata non più criterio preferenziale per valorizzare, con meccanismi premiali, analoghi progetti o attività, ma requisito primario ed anzi, tema centrale di tutte le attività di sviluppo, che riconoscono nell’ambiente un volano allo sviluppo economico e non un aspetto complementare da considerare.

Si parla, infatti, di transizione ecologica, dove le politiche ambientali dettano una nuova cornice normativa incentrata sì sulla tutela dell’ambiente, ma ancor di più sull’ambiente come opportunità di sviluppo. Una sempre maggiore consapevolezza dell’importanza di misure e azioni condivise a livello mondiale come unica soluzione al costante sovra sfruttamento e danneggiamento degli ecosistemi naturali, ha portato alla nascita di una nuova, solida coscienza ambientale, a partire dai giovani.

Nel mondo scientifico allo stesso modo, le attività di ricerca si sono spinte sempre più in avanti di pari passo con l’evoluzione tecnologica in atto, consentendo così di ottenere maggiori risultati produttivi, riducendo l’impiego di input naturali e limitando gli impatti negativi i termini di inquinamento. Ciò avviene nei diversi settori: dalle costruzioni sempre più eco-sostenibili, all’industriale, con processi sempre meno impattanti, ai trasporti con l’utilizzo di biocarburanti, fino all’agricoltura, dove la tutela delle risorse idriche, lo sviluppo di energie da fonti rinnovabili (sole, acqua appunto, ma anche vento e suolo), l’utilizzo di satelliti e nuovi approcci produttivi stanno consentendo di raggiungere risultati produttivi inaspettati.

Cosa sta facendo il CREA?

In questo contesto si inseriscono le numerose attività che il CREA porta avanti, grazie ai finanziamenti messi a disposizione dalla Comunità Europea per progetti di ricerca innovativi e con importanti ricadute sulla collettività.

Nel presente articolo facciamo riferimento in particolare a due progetti di ricerca che perseguono obiettivi di sostenibilità, attraverso approcci partecipativi, volti ad ottimizzare l’impiego delle risorse e la gestione integrata delle stesse, ispirandosi al concetto di Nexus.

Il progetto BIOPLAT-EU (https://bioplat.eu/), finanziato dalla Unione Europea nell’ambito del programma di ricerca Horizon 2020, ha permesso di sviluppare una piattaforma online per la valutazione ex-ante della sostenibilità di filiere bioenergetiche corte, basate sulla coltivazione di terreni marginali o poco produttivi, non interessati cioè da attività agricole destinate alla produzione di cibo o mangimi, che si sviluppino a livello locale, ossia su aree aventi un raggio inferiore ai 100 km. La necessità di sviluppare filiere bioenergetiche locali, nasce dalla volontà di ottimizzare l’efficienza energetica, e dunque la sostenibilità economica e ambientale, dell’intera filiera, riducendo al minimo i consumi energetici più significativi, ossia quelli legati al trasporto delle materie prime, dai campi di produzione ai centri di trasformazione, e dei biocarburanti, dagli impianti di produzione ai centri di distribuzione.

D’altra parte, l’esigenza di individuare e mappare in tutta Europa aree marginali e contaminate utilizzabili per la coltivazione di biomasse da dedicare alla produzione di bioenergie, nasce per far fronte ai limiti imposti dalla Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili (REDII), che limita la possibilità di utilizzare terreni agricoli da destinarsi alla produzione di cibo e mangimi al fine della produzione di biomasse da destinarsi alle bioenergie.

L’utilizzo di strumenti e piattaforme tecnologiche dedicate – che forniscono una mappatura dettagliata dei terreni marginali, poco produttivi e contaminati disponibili e potenzialmente utilizzabili in Europa, con relativa descrizione di indicatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale – ha fatto sì che i risultati del progetto BIOPLAT-EU, conclusosi in ottobre 2021, siano stati molto apprezzati da tutti gli stakeholder coinvolti a livello locale nelle aree pilota (es. Sardegna e Basilicata per quanto riguarda l’Italia).

A titolo esemplificativo guardiamo ai risultati ottenuti in Sardegna, che mostrano una produzione potenziale fino a 25 tonnellate/ettaro di biomassa in un’area di circa 13.000 ettari con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 del 68% (61.200 tonnellate di CO2 evitate) e impatti occupazionali di rilievo, quantificati in circa 600 posti di lavoro temporanei (o stagionali) e oltre 700 fissi, a dimostrazione di come un tale approccio possa fungere anche da volano per lo sviluppo economico di territori svantaggiati.

Per quanto detto, le associazioni degli agricoltori hanno intravisto la possibilità di rivalutare terreni abbandonati da anni perché poco produttivi o contaminati, i produttori di bioenergie hanno visto la possibilità di approvvigionarsi di materie prime a costi contenuti, grazie al contenimento dei costi di trasporto dovuti all’approccio di filiera corta ed i decisori politici guardano alla possibilità di generare nuovi posti di lavoro e dunque nuova ricchezza, in aree tendenzialmente volte allo spopolamento, come le nostre regioni meridionali.

Fig. 1 – Il progetto BIOPLAT-EU
Fig. 1.1 Le principali attività
Fig 1.2 Le aree utilizzabili in Italia
 

Il progetto LENSES, finanziato dal programma PRIMA-MED e coordinato da CREA-Politiche e Bioeconomia (https://primaobservatory.unisi.it/it/progetti-di-ricerca/lenses-learning-and-action-alliances-for-nexus-environments-in-an-uncertain-future), utilizza un approccio prettamente partecipativo e di condivisione, per ottimizzare l’insieme di relazioni (il cosiddetto Nexus) esistenti tra acqua, ecosistemi e produzioni alimentari, tenendo conto delle complessità dei sistemi coinvolti, derivate dai molteplici usi competitivi delle risorse naturali e dal cambiamento climatico in atto.

Attraverso l’attivazione dell’apprendimento collettivo, LENSES prevede quindi di costruire sistemi Nexus resilienti, in grado di far fronte alle mutate condizioni di contesto (cambiamenti climatici, mutazioni a livello sociale, variazione delle tecnologie disponibili), sviluppando capacità adattive in grado di coinvolgere tutti i settori coinvolti, dal livello politico, a quello territoriale, al sistema delle imprese. Tutto ciò favorendo principalmente un approccio dal basso (bottom-up) e coinvolgendo le comunità locali, i consorzi che gestiscono i bacini d’acqua, le cooperative di produttori agricoli, vari target group della società, incluse le imprese.

A tal fine vengono analizzate da un punto di vista ambientale, economico e sociale le attività produttive, in primis quelle legate al settore agricolo, e le relazioni insistenti a livello locale in 7 aree pilota distribuite in Paesi dell’area mediterranea, tra cui l’area di Tarquinia in Italia.

Il progetto è al primo anno di attività e consentirà di costruire modelli relazionali che, integrati a sistemi per la valutazione del rischio climatico e per l’individuazione di soluzioni di adattamento basate sulla natura (Nature-based solutions), guideranno la transizione verso l’ottimizzazione del nexus a livello locale, passando dalla teoria alla pratica. Dal booklet (opuscolo) dei progetti PRIMA finanziati nel 2020 si riporta nelle seguenti figure il progetto LENSES in pillole.

Fig 2.1 – LENSES obiettivi e contesto di riferimento
Fig. 2.2 – Aree di studio

I progetti europei brevemente descritti in questo articolo costituiscono esempi concreti di attività volte a trasferire, mettere in pratica e rendere fruibili a tutti in breve tempo, le nuove conoscenze e tecnologie prodotte, grazie all’attività di ricerca svolta a livello nazionale e in collaborazione con centri specializzati a livello europeo in tema di sostenibilità dell’attività agricola.

Il passaggio dal “pensare sostenibile” all’ “agire sostenibile” è uno dei principali risultati che la ricerca pubblica si deve prefiggere per non risultare autoreferenziale e riservata alla sola comunità scientifica. BIOPLAT-EU e LENSES rappresentano in quest’ottica degli ottimi esempi di trasferibilità concreta dei risultati di studi ed approcci innovativi, che testimoniano come la sostenibilità possa essere attuata continuamente e in diversi contesti.


Stefano Fabiani
Ricercatore CREA – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

Svolge attività di ricerca e supporto tecnico scientifico in tema valutazione economica delle risorse naturali, energie rinnovabili e valutazioni di sostenibilità mediante approcci multisettoriali

#lafrase La sostenibilità è un modo di pensare e di interpretare il quotidiano. Le risorse naturali non vanno solo preservate e tutelate ma ottimizzate in un’ottica di bioeconomia circolare e sostenibile. È su questo paradigma che si deve basare l’economia del futuro!

Tiziana Pirelli
Ricercatrice CREA – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

Ha svolto attività di ricerca in UNIUD e FAO su approcci integrati di agricoltura climate-smart e filiere bioenergetiche, con esperienze in oltre 20 Paesi, di cui 10 in Africa sub-sahariana.

#lafrase La decarbonizzazione è fondamentale per combattere il cambiamento climatico e va perseguita, in ogni settore, attraverso percorsi di sviluppo sostenibile e inclusivo.

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