Qual è il ruolo dell’agrobiodiversità in uno scenario di sistemi agroalimentari in transizione? Come può promuovere il cambio di paradigma necessario per soddisfare la richiesta di alimenti sani e nutrienti, senza consumare le risorse naturali indispensabili per la produzione agricola in un contesto di cambiamenti climatici? Come ci si sta attivando a livello internazionale per raggiungere questo obiettivo? Ne parliamo con Elisabetta Lupotto, Dirigente di ricerca CREA e tra gli organizzatori italiani dell’Agrobiodiversity Congress, la grande kermesse sul tema dell’agrobiodiversità e del suo ruolo in uno scenario di sistemi agroalimentari in transizione, svoltosi lo scorso novembre in Italia.
Ultimamente si sente molto parlare di transizione verde: in cosa consiste e come realizzarla?
L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite focalizza l’attenzione sui vari aspetti che sinergicamente devono contribuire allo sviluppo sostenibile dell’umanità sul pianeta terra. La ricerca e l’innovazione necessarie per operare la Transizione verso uno sviluppo più sostenibile, in grado di salvaguardare le risorse del pianeta, hanno un ruolo fondamentale.
La prima delle priorità dell’Agenda 2030 è centrata sui cambiamenti essenziali al nostro sistema produttivo agroalimentare, suggeriti da One health. Secondo questo paradigma, infatti, lo sviluppo dell’umanità è legato al suo sostentamento sia in termini di resilienza dei sistemi produttivi sia in termini di qualità alimentare e tutto si riflette sullo stato di salute e benessere dell’uomo. In questo ampio panorama di tematiche da affrontare per il nostro futuro, una posizione importante e imprescindibile è occupata dalla difesa e conservazione della Biodiversità degli esseri viventi presente sul pianeta. Una parte di questa Biodiversità, è rappresentata da quella che definiamo Agrobiodiversità, ossia quella parte di specie vegetali e animali che nei millenni l’uomo ha scelto per coltivare ed allevare al fine di garantire il proprio sostentamento.
Cosa si intende per agrobiodiversità?
Lo sviluppo dell’agricoltura, la cui origine viene fatta risalire a circa 12.500 anni fa, ha dato il via alla transizione del Neolitico, periodo in cui l’uomo iniziò a coltivare alcune specie selvatiche per nutrirsi. L’agricoltura fu alla base dello sviluppo delle aggregazioni in comunità e villaggi stanziali, modalità di vita che cambiò sostanzialmente lo sviluppo dell’umanità. L’Agrobiodiversità che oggi riconosciamo, è fortemente legata ai diversi ambienti e territori presenti nel mondo, dove le comunità umane si sono sviluppate creando, nei millenni, bacini differenziati di agrobiodiversità specifiche, salvaguardate in primo luogo proprio dagli agricoltori. Essa caratterizza la cultura e la tradizione alimentare della popolazione, costituisce il patrimonio genetico di piante ed animali che nel tempo si sono adattati perfettamente all’ambiente nel quale vivono. L’agrobiodiversità raccoglie con un’unica denominazione sia le specie che nel tempo sono state soggette alla selezione da parte dell’uomo verso l’identificazione e coltivazione delle accessioni migliori e più produttive, sia specie alimentari che vengono raccolte e/o coltivate nella loro forma selvatica.
Se nei Paesi sviluppati l’agricoltura è caratterizzata da un intervento molto forte dell’uomo, riconoscibile nelle varietà coltivate, nelle pratiche agronomiche di coltivazione – e successivamente nella catena alimentare dal raccolto alla distribuzione – in molte aree del mondo l’agrobiodiversità locale è alla base del sostentamento alimentare.
Perché è importante proteggere e tutelare l’agrobiodiversità? Cosa sta facendo la ricerca in tal senso?
La difesa dell’agrobiodiversità locale nelle varie aree del pianeta ci induce a riflettere su quanto occorra conoscerla e caratterizzarla per poterne comprendere appieno l’importanza. Questi obiettivi costituiscono il focus principale dei molteplici interventi che a livello mondiale, sia in modo strutturato e istituzionale, ma anche a livello locale di comunità degli “agricoltori custodi”, sono promossi e si sviluppano.
L’agricoltura intensiva e industrializzata ha sicuramente favorito la crescita delle produzioni, apportando vantaggi di redditività, di qualità delle produzioni e sicurezza alimentare, non tralasciando il costo dell’approvvigionamento che rende accessibile a tutti i prodotti primari.
I progressi fatti nell’ambito della ricerca genetica e nel miglioramento genetico delle specie coltivate a partire dall’inizio del secolo scorso, hanno permesso un balzo in avanti assolutamente mai visto prima. In alcune specie coltivate, la ricerca e l’innovazione nel campo del miglioramento genetico sono state determinanti: basti pensare agli ibridi di mais coltivati attualmente, che con la scoperta dell’eterosi, verso la metà del secolo scorso, hanno raddoppiato la produzione per ettaro rispetto alle varietà locali. L’intervento di costituzione varietale del frumento in Italia ad opera di Nazareno Strampelli nella prima metà del ‘900, ha permesso un aumento significativo nelle produzioni nazionali, tanto da poter ascrivere il genetista italiano tra i fondatori della “rivoluzione verde”.
Lo sviluppo dell’agricoltura intensiva porta con sé luci e ombre e riconosce un elevato bisogno di intervento umano in termini di costo energetico, di acqua, di suolo e di apporto chimico. Senza dimenticare che i cambiamenti climatici sono anche il risultato delle modalità attuali di produzione agricola, laddove viene stimato che in termini generali l’agricoltura è responsabile di quasi un terzo delle emissioni di gas serra. Dobbiamo cambiare, ma dobbiamo produrre per un sempre crescente numero di abitanti del pianeta e non è facile capire come farlo. Occorre capirlo e identificare tutti i mezzi a nostra disposizione per creare un sistema “resiliente”, capace cioè di adattarsi alle nuove situazioni climatiche e di utilizzare meno risorse, ma contemporaneamente occorre agire per non aggravare la situazione.
Quale ruolo ricopre l’agrobiodiversità nella realizzazione della transizione ecologica?
Sicuramente il riconoscimento dell’agrobiodiversità come uno degli elementi essenziali per permettere la transizione è fondamentale.
Le produzioni locali evolute nel tempo caratterizzano territori, situazioni ambientali e tradizioni alimentari. Una produzione locale resiliente può garantire approvvigionamento alimentare non strettamente dipendente da prodotti di importazione; la pandemia, che da circa due anni stiamo vivendo, ha fatto luce anche su questo aspetto, portando attenzione sui sistemi produttivi e sulle produzioni nazionali.
Agrobiodiversità vuol dire disporre di un assetto di geni “utili” alla pianta più ampio di quanto non sia rintracciabile nelle varietà comunemente coltivate, laddove generalmente è la crescita di produzione il parametro più perseguito. In accessioni più rustiche spesso si trovano caratteri di resistenza a stress di natura ambientale o biotica, come resistenza a funghi patogeni o insetti o virus. Se tolleranza a ondate di calore o a carenza idrica, possono proteggere dalla perdita del raccolto, la presenza di resistenza a patogeni può costituire la salvezza di una produzione a fronte dell’insorgenza di un’ondata epidemica di un patogeno, spesso anch’essa favorita dal cambiamento climatico.
Per questi aspetti, agrobiodiversità significa anche la possibilità di sviluppo della ricerca scientifica, che con le attuali tecniche di indagine molecolare a disposizione, lavora nella identificazione di questi caratteri genetici, per la loro incorporazione nel genoma di varietà migliorate.
Oggi dobbiamo considerare Agrobiodiversità tutto il patrimonio genetico che l’umanità utilizza per nutrirsi, in quanto è nella varietà di composti e molecole bioattive che risiede il segreto della nostra salute: una corretta alimentazione e stile di vita, ma anche l’apporto di nutrienti preziosi per il nostro organismo. Dato che l’incredibile molteplicità di composti presenti nelle varie specie è ulteriormente differenziata dalle diverse varietà – o accessioni se si tratta di specie selvatiche – è immediato comprendere come risieda nella “diversità” degli alimenti il segreto della salute. È un tema molto discusso e difficile da analizzare la correlazione tra la disponibilità di agrobiodiversità – intesa come specie alimentari utilizzate – e la nutrizione umana. È indubbio che lo sviluppo della moderna agricoltura ha apportato enormi benefici alla necessità di cibo della sempre crescente popolazione del pianeta, ma è anche documentato che in alcuni casi la scomparsa di produzioni locali e di diversificazione nella dieta quotidiana abbiano avuto impatto negativo sullo stato di salute di comunità.
Come promuovere il cambio di paradigma alimentare necessario alla transizione verde?
I Paesi industrializzati attualmente vedono crescere nella popolazione una serie di malattie non trasmissibili, cronico-degenerative legate alla dieta, quali obesità, diabete, malattie cardio-vascolari, malnutrizione derivante da deficienze specifiche in micronutrienti etc. Diete scorrette impattano fortemente sullo stato di salute della popolazione, sull’economia e sull’ambiente, mentre diete salubri e bilanciate contribuiscono a mantenere un buono stato di salute ed effettuare prevenzione nei confronti delle malattie non trasmissibili citate.
Negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli studi disponibili in letteratura che affermano e validano la stretta correlazione esistente tra una produzione agroalimentare sostenibile, essenzialmente a base vegetale, una corretta alimentazione con caratteristiche protettive verso la salute umana e la sostenibilità ambientale. In questo contesto, è universalmente riconosciuto che il paradigma della Dieta mediterranea, rappresenti un ottimo esempio di dieta sostenibile e protettiva. Essa è caratterizzata da un elevato consumo di alimenti a base vegetale, legumi, cereali, frutta e ortaggi, frutta a guscio e semi; basso consumo di carne – soprattutto carni rosse – e prodotti lattiero-caseari, ed impiego di olio d’oliva come base per l’introduzione di grassi. I benefici effetti della dieta mediterranea sulla salute nuovamente sottolineano l’importanza della agrobiodiversità presente nei sistemi produttivi agroalimentari, dove trovano modo di valorizzazione molteplici prodotti locali, derivanti da coltivazioni rispettose dei territori e delle pratiche colturali tradizionali. Questi aspetti si ritrovano nella Azione UN “Decade di azione per la nutrizione”, in corso per il decennio 2016-2025, nello specifico nella Azione 1 “Sistemi produttivi resilienti e sostenibili per diete salubri”, nella quale sono promosse azioni che impattano sulla totalità dei sistemi produttivi: dalla produzione, attraverso la trasformazione, la distribuzione e la vendita fino al consumo e la lotta allo spreco alimentare.
Per tutte le ragioni esposte, nel palinsesto del 2nd International Agrobiodiversity Congress, tenutosi dal 15 al 18 novembre 2021, il CREA si è fatto promotore di un evento satellite dedicato alla Dieta Mediterranea, sottolineando nel titolo la stretta connessione esistente tra dieta sostenibile e sostenibilità della produzione agroalimentare, l’importanza dell’eredità culturale che i popoli del bacino mediterraneo portano con sé da generazioni attraverso i secoli, la cui base fondante è rappresentata dalla agrobiodiversità delle coltivazioni e degli allevamenti. Su di essa è basato uno dei regimi alimentari ritenuti universalmente più salubri e garante di benefici effetti sulla salute e sul benessere dell’uomo.
Il 2nd International Agrobiodiversity Congress
Il Second International Agrobiodiversity Congress è stato un importante momento di dialogo globale tra gli stakeholders coinvolti nel settore dell’agri-food. È stato ospitato dal Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale (MAECI), dal Consultative Group for International Agricultural Research (CGIAR) e dall’Alliance of Bioversity International and CIAT, e co-organizzato con 27 organismi partner, con la partecipazione di oltre 500 esperti e ricercatori nazionali e internazionali, operatori delle grandi e piccole filiere e rappresentanti politici, per approfondire le novità della ricerca sempre più orientata verso sistemi alimentari eco-sostenibili. Il CREA ha avuto un ruolo attivo affiancando Bioversity nella ideazione e progettazione dell’evento, facilitando inoltre il suo rapporto con i diversi attori della ricerca italiana. Oltre alla partecipazione di diversi ricercatori con una serie di contributi scientifici nei tre settori tematici del Congresso: “Consumo”, “Produzione” e “Conservazione”, Il CREA, ha ospitato un Side Event dal titolo “Mediterranean Diet: Sustainable Diets For Sustainable Life. Cultural Heritage, Nutritional Benefits and Social Wellbeing” (La Dieta mediterranea: diete sostenibili per una vita sostenibile. Eredità culturale, benefici per la salute e per la società), articolato in due Sessioni di discussione con panels di specialisti sui temi della Agrobiodiversità e Sistemi produttivi e Diete e sostenibilità. In particolare, i temi discussi sono stati incentrati sul ruolo della agrobiodiversità nel promuovere e sostenere il cambio di paradigma alimentare necessario alla Transizione verde e sugli effetti della Dieta Mediterranea sul benessere umano, in quanto modello alimentare sano ed equilibrato, anche in un’ottica di riduzione dell’impatto ambientale dei sistemi produttivi e dell’aumento dei benefici sociali che ne derivano.
Giornalista pubblicista dalla comprovata professionalità sia come addetto stampa, con particolare riguardo ai social media (relations, strategy, event e content) e al web, sia come redattrice di articoli presso diverse redazioni di testate giornalistiche nazionali (INEAInforma, L’occhioche.it, Gaianews, Pianeta Terra, Villaggio Globale, Regioni e Ambiente, Autodemolitori). Fotografa e scrittrice per passione.
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Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. (Marcel Proust)