Il conteggio degli anelli di accrescimento degli alberi è una tecnica utilizzata in diversi campi: in archeologia per datare i legni antichi e risalire al contesto storico, in climatologia per ricostruire il clima del passato e in ecologia per studiare la vita degli ecosistemi forestali e la loro capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. Gli anelli degli alberi, dunque, costituiscono un vero e proprio archivio di informazioni sulle interazioni fra gli alberi e l’ambiente che ci consentono in questo ambito di ricostruire il passato, comprendere il presente e ipotizzare cosa ci aspetta in futuro.
La dendrocronologia
Il termine «dendrocronologia» deriva dal greco «dendron», che significa «albero», «cronos», «tempo» e «logia», studio. La dendrocronologia è un sistema di datazione basato sul conteggio degli anelli di accrescimento annuale degli alberi, implementato dall’americano Andrew Ellicott Douglass nel 1906. Il primo ad accorgersi della formazione annuale degli anelli degli alberi fu Leonardo da Vinci.
Questa tecnica viene utilizzata in diversi campi: in archeologia, per datare legni antichi usati in costruzioni o altri manufatti lignei e per la datazione di eventi storici, utilizzando anche altri campioni legnosi quali ceppaie o fossili; in climatologia, per ricostruire il clima del passato; e in ecologia, per studiare la vita degli ecosistemi forestali, dalla loro capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, al sequestro e agli stock di carbonio per la loro mitigazione. La dendrocronologia è anche utile nella datazione di eventi naturali come incendi, eruzioni vulcaniche o frane.
Perché gli anelli legnosi
Una specie arborea che vive in ambienti con una stagionalità climatica produce anelli di crescita annuali con un ritmo periodico legato all’attività vegetativa. Nel complesso sistema di interazioni tra alberi e ambiente circostante (condizioni climatiche, parassiti, fuoco, suolo, disturbi antropici, ecc.), gli anelli di crescita sono un importante archivio di informazioni che ci permette di capire la storia, e quindi l’evoluzione nel tempo, di tali interazioni.

Le serie storiche degli anelli legnosi rappresentano, infatti, una delle principali fonti di “proxy data” di facile reperibilità, a basso costo e disponibili per la maggior parte degli ecosistemi forestali esistenti. Un albero è un testimone vivente che conserva tutto ciò che è accaduto nel passato per capire meglio il presente, l’ambiente che ci circonda ed ipotizzare scenari futuri.
Cosa ci raccontano gli anelli degli alberi sul cambiamento climatico: alcuni esempi
Le variazioni delle ampiezze anulari sono correlate alle variabili climatiche, quali pioggia, temperatura e siccità. Studi scientifici hanno mostrato come l’influenza del clima sull’accrescimento di varie specie forestali sia mutata nel tempo, soprattutto negli ultimi decenni. Molte specie, infatti, sono ora più sensibili all’aumento della temperatura, alla siccità estiva e agli effetti cumulati del clima passato, come il susseguirsi di annate siccitose o le precipitazioni stagionali e annuali che si accumulano più in profondità nel suolo. Di seguito sono illustrati alcuni studi effettuati dal Centro di Ricerca Foreste e Legno di Arezzo (CREA-FL).
In popolamenti naturali di pino domestico (Pinus piena L.) lungo zone costiere di Italia e Grecia è emersa l’esistenza di una connessione, influenzata dal clima, tra accrescimento e fluttuazioni della falda freatica. Tali fluttuazioni sono associate al regime pluviometrico pluriannuale. Pertanto, una serie di annate siccitose può ridurre il contatto delle radici con la falda acquifera che si abbassa, determinando una riduzione dell’accrescimento e una maggiore vulnerabilità allo stress idrico. L’aumento previsto della siccità favorirebbe altre specie più adattate come il pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.), mettendo a rischio la conservazione di tali habitat costieri.

Alcune ricerche dendroecologiche negli ecosistemi forestali ripariali del lago di Bracciano hanno evidenziato come la variazione del livello idrometrico del lago sia la principale variabile correlata con l’accrescimento radiale, seguita dalle variabili climatiche, quali precipitazione e siccità (SPEI), e da quelle del bilancio idrico del lago, quali evaporazione e prelievi irrigui per uso idropotabile. Da questi risultati è stato possibile individuare un valore di soglia idrometrica critica per lo stato di salute, valutato in termini di dinamica dendroauxometrica, della vegetazione forestale ripariale del lago.

Uno studio sul deperimento delle faggete di bassa quota ha evidenziato un’influenza significativa dei cambiamenti climatici. In una faggeta termofila di bassa quota in centro Italia è emerso come il faggio (Fagus sylvatica L.), a partire dagli anni ’90, abbia subito maggiormente il cambiamento delle condizioni climatiche rispetto alla principale specie concorrente, il cerro (Quercus cerris L.), mostrando una riduzione più significativa dell’accrescimento, una minore resilienza ed una minore capacità di recupero dell’accrescimento dopo un evento siccitoso. Il faggio, infatti, utilizza in modo meno significativo le riserve idriche che si accumulano nel suolo a seguito delle piogge stagionali e degli anni passati, e soffre maggiormente l’aumento significativo della temperatura e della siccità estiva, un fenomeno oramai noto e registrato in tutto il Mediterraneo.

La conoscenza delle esigenze ecologiche di una specie al limite caldo del suo areale può fornire preziose informazioni sulle potenzialità di adattamento ai cambiamenti climatici. A questo scopo, uno studio dendroecologico ha confrontato soprassuoli marginali sub- e meso-mediterranei di abete bianco (Abies alba Mill.), con temperature medie estive di 23-25 °C, con un nucleo appenninico a 1450 m di quota, nella nicchia climatica tipica della specie con condizioni di crescita ottimali.
I risultati dello studio dimostrano che la crescita dell’abete bianco a bassa quota (da circa 30 a 800 m) è limitata più dalla disponibilità idrica del suolo e umidità atmosferica che dalle alte temperature. Al contrario, l’abete bianco nel sito appenninico più fresco e umido risulta meno influenzato dalla siccità estiva e dagli effetti climatici degli anni passati.

Questi risultati confermano il potenziale di crescita dell’abete bianco in climi caldi, come precedentemente evidenziato dai dati paleoecologici. Tuttavia, negli ecosistemi mediterranei, questa capacità dipende dalle condizioni di crescita locali di queste aree “rifugio”, in particolare umidità e disponibilità idrica, che ritardano il ritiro della specie al di fuori dell’areale di distribuzione principale.
Bibliografia
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- Mazza G.*, Becagli C, Proietti R, Corona P (2020). Climatic and anthropogenic influence on tree-ring growth in riparian lake forest ecosystems under contrasting disturbance regimes. Agricultural and Forest Meteorology 291, 108036. https://doi.org/10.1016/j.agrformet.2020.108036.

Primo ricercatore CREA Foreste e Legno, Arezzo
Dendroecologia – Foreste e Legno – CREA
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