Spesso sottovalutiamo, e in molti casi addirittura non conosciamo, la relazione esistente tra il cibo che mangiamo e il suolo agricolo. Questo fenomeno ha generato negli ultimi decenni una marcata divisione e un allontanamento progressivo fra ciò portiamo a tavola e l’ambiente in cui viene prodotto, quasi fossero due entità separate.
Giuseppe Corti, Direttore Centro Agricoltura e Ambiente
Il suolo, invece, rappresenta un elemento chiave all’interno del nostro sistema alimentare, perché un suolo sano ci consente di coltivare la varietà di prodotti alimentari necessari all’alimentazione dell’uomo. Ne parliamo con Giuseppe Corti, Direttore del CREA Agricoltura e Ambiente.
1) Quale rapporto esiste fra il suolo e il cibo che portiamo sulle nostre tavole?
Se consideriamo che il 98,5% degli alimenti necessari per sostentare l’umanità, ad oggi circa 8 miliardi di persone, proviene dal suolo e la restante parte dai mari e dagli oceani, l’importanza del suolo nel fornire il cibo all’umanità risulta immediatamente percepibile. A maggior ragione, se teniamo presente che nel prossimo trentennio la popolazione mondiale continuerà ad aumentare, raggiungendo i 10 miliardi. Già oggi, però, circa 1,5 miliardi di persone soffrono la fame e se vogliamo evitare che questo numero aumenti, anzi se vogliamo cercare di superare il problema della fame e della morte per carestia, dovremmo sicuramente fare appello al suolo per avere una maggiore produzione di cibo. Ciò significa che con il suolo che abbiamo a disposizione dobbiamo aumentare la quantità di derrate alimentari prodotte e la loro qualità, o quanto meno mantenerla costante. Si tratta, cioè, di migliorare le nostre conoscenze riguardo la produzione di cibo, pur tutelando la salute del suolo, perché è l’unico modo che abbiamo per salvaguardare le persone che vivono e che vivranno su questa terra in futuro. Quello che sappiamo con certezza è che avere un suolo sano – un suolo cioè in grado di mantenere la sua biodiversità microbica, che non contenga inquinanti e altri elementi che in determinate concentrazioni sono nocivi per la salute delle piante, ma anche umana – significa produrre più cibo e di qualità.
2) Quanto il suolo influisce sulla produttività, ma soprattutto sulla qualità e la tipicità dei cibi?
Il suolo influisce molto sulla produttività, come già detto in precedenza. Un suolo in salute, che è equivalente a dire fertile, consente di produrre la maggior quantità possibile di alimenti, considerando la scelta agronomica fatta in una specifica condizione pedoclimatica. Mi spiego con un esempio. Se volessimo produrre banane in Emilia Romagna, ci troveremmo nella peggior condizione ambientale possibile con il risultato di un raccolto scarso e di bassa qualità. Se, invece, volessimo produrre altre colture, come ad esempio il pisello da industria o cereali, che sono adatti a quello specifico contesto pedoclimatico, allora lì avremmo il massimo della produzione e anche della qualità. Per quanto riguarda la tipicità, ogni località, con le sue particolari condizioni di clima e di suolo, sposa al meglio determinate colture. Non è un caso, infatti, che alcuni vini famosi anche a livello mondiale vengano prodotti in determinati luoghi e non in altri, dove sussistono, oltre alla presenza delle persone capaci a produrli, le condizioni adatte affinché la vite possa dare il meglio in termini di caratteriste organolettiche. Stesso discorso si può fare per i formaggi: sia che si tratti di bovini o caprini o ovini, se questi si sono alimentati in pascoli fertili e ricchi in biodiversità, i formaggi conserveranno parte di quegli aromi e nutrienti, provenienti da una varietà e da una gamma di piante che gli conferiscono quel determinato sapore. Suolo e cibo, quindi, sono legati sia per la produzione intesa come quantità e qualità, ma anche per la tipicità, che possiamo toccare con mano nel vino e nei formaggi, ma anche nei pomodori e nel pane e, quindi, nel grano.
3) Direttore può farci alcuni esempi/casi studio dell’influenza di diverse tipologie, almeno tre, di suolo in termini di composizione (es. vulcanico, sabbioso) e geografica su un alimento tipico?
Il primo caso studio è il pomodoro di Pachino. Pachino si trova in Sicilia, all’incirca al parallelo di Tunisi, dove il suolo sabbioso insieme al clima poco piovoso hanno generato un’aridità del terreno tale da favorire la salinità, anche grazie alla vicinanza del mare. I suoli salini sono famosi per essere scarsamente produttivi: ci vivono, infatti, solo pochissime piante (dette alofile) a meno di un utilizzo spropositato di acqua irrigua. E invece, quei suoli salini e quella varietà di pomodoro – simil datterino – costituiscono una combinazione vincente che permette lo sfruttamento agricolo di suoli altrimenti inutilizzati e la produzione di pomodori dove sono esaltati sapori e gli aromi che rendono il pomodoro di Pachino un brand noto in Italia e all’estero.
Il secondo caso è rappresentato dal suolo vulcanico e dal nocciolo. Il nocciolo è una specie molto adattabile a diversi suoli, in quanto richiede un pH variabile fra 5,5 e 7, non ha bisogno di suoli di elevata fertilità – è sufficiente la presenza di un po’ di fosforo disponibile e un buon drenaggio – anche se non ha un apparato radicale molto profondo. Queste sono le caratteristiche generali, anche se poi esistono varietà con apparati radicali dal comportamento molto diverso. Per questi motivi, le varietà di nocciolo più gradite sono quelle che si trovano nei suoli vulcanici: è sufficiente andare nell’area vesuviana o nel complesso vulcanico laziale per trovare coltivazioni di nocciolo ricchissime ed estremamente produttive, molto ricercate sia per gli aromi sia per la dimensione delle nocciole. Comunque, il nocciolo è una pianta molto adattabile e si hanno varietà coltivate anche in suoli di medio impasto o tendenti al limoso e argilloso come quelli delle Langhe, del Monferrato e altri territori piemontesi, che sono la cosa più lontana da un suolo vulcanico. Grazie all’adattabilità della pianta e alla ricerca che ha prodotto varietà di noccioli adatti a differenti condizioni pedoclimatiche, in Italia si hanno produzioni di nocciola assai apprezzate per vari usi.
Il terzo caso studio di cui vorrei parlare è la pasta, fiore all’occhiello del nostro Made in Italy, prodotta in diverse aree. Quello che è interessante notare, anche in questo caso, è il rapporto con il suolo, non tanto per il grano, quanto piuttosto per la trasformazione del frumento in pasta. Nella zona di Fara San Martino, alle falde del Massiccio della Majella, si realizza una pasta di grande qualità sicuramente per la scelta della materia prima, ma anche perché quella zona, anche in estate, è particolarmente ricca di acqua di elevata qualità. Alla sommità del massiccio, infatti, vi sono formazioni geomorfologiche, chiamate kettle holes – avvallamenti con la forma del fondo di un bollitore di tè – che si sono creati durante la recessione del ghiacciaio, avvenuta circa 13.000 anni fa. Si tratta di avvallamenti nel terreno che mantengono la neve fino a oltre la metà del mese di luglio, cioè per gran parte dell’estate. Le caratteristiche carsiche del Massiccio della Majella sarebbero in grado di disperdere l’acqua rapidamente ma, grazie alla presenza dei kettle holes, l’acqua viene rilasciata gradualmente per gran parte dell’estate così che a Fara San Martino è possibile la produzione di pasta senza alcuna interruzione estiva.
Micaela Conterio Ufficio stampa CREA
Giornalista pubblicista dalla comprovata professionalità sia come addetto stampa, con particolare riguardo ai social media (relations, strategy, event e content) e al web, sia come redattrice di articoli presso diverse redazioni di testate giornalistiche nazionali. Fotografa e scrittrice per passione.
#lafrase Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust)
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