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mercoledì, 11 Dicembre 2024

La sostenibilità in agricoltura biologica è ricerca scientifica

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Aumento della fertilità del terreno, minor impatto ambientale, gestione conservativa, qualità  e tracciabilità delle produzioni. Sono solo alcuni dei risultati del “dispositivo sperimentale di lungo termine”, impostato e realizzato presso la Sede di Monsampolo del CREA Orticoltura e Florovivaismo per studiare le colture orticole, un importante strumento che non ha paragoni nel panorama italiano.  L’approccio di ricerca, basato su osservazioni di lungo periodo, riesce a dimostrare la sostenibilità delle colture agrarie in regime biologico.

Come studiare l’agricoltura biologica?

Il tema dell’agricoltura biologica, oltre ad essere tecnicamente complesso, è anche oggetto di continuo confronto fra i portatori di interesse a livello politico, sociale e tecnico. Per tale ragione i ricercatori del CREA Orticoltura e Florovivaismo di Monsampolo del Tronto nel 2001 hanno deciso di avviare uno studio sull’argomento, domandandosi come poter impostare una strategia di ricerca efficace, in grado di fornire risposte multiple e spendibili in diversi ambiti del mondo biologico.

Il primo passo è stato quello di certificare un appezzamento di terreno aziendale per la coltivazione biologica e successivamente progettare e avviare una rotazione orticola per valutarne nel tempo l’evoluzione (Foto 1). La rotazione, tutt’ora in corso, è una successione quadriennale in grado di garantire sia una buona diversificazione colturale, grazie alla coltivazione di 9 specie appartenenti a 7 diverse famiglie botaniche, sia una elevata copertura del terreno. Questo particolare approccio sperimentale di lungo periodo doveva consentire di verificare le difficoltà operative insite nel metodo di coltivazione, come avrebbe fatto un comune imprenditore agricolo e, nello stesso tempo, di ricavare informazioni scientifiche utili a mettere in luce la sostenibilità del processo produttivo.

Foto 1– Dispositivo sperimentale di lungo termine: panoramica estiva (Foto: Gabriele Campanelli)

Le criticità dell’orticoltura biologica

La principale difficoltà agronomica riscontrata nei primi 7-8 anni, un periodo che è andato ben oltre il termine di legge fissato per la conversione, è riconducibile alla nutrizione delle piante. Questa problematica è diminuita in seguito al lento recupero della fertilità del terreno, avvenuta attraverso l’adozione di tecniche agronomiche sostenibili (fertilizzazione organica, ridotte lavorazioni, inserimento di colture leguminose e delle colture di copertura).

La limitata scelta varietale è un altro fattore di criticità per il biologico. La ricerca pubblica, soprattutto con progetti finanziati dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – MiPAAF (Piani Sementieri Nazionali per il biologico – I e II PSN) e dall’Unione Europea – UE (Horizon 2020: Improving the competitiveness of organic agriculture by boosting organic seed and plant breeding efforts across Europe – LIVESEED; Breeding for Resilient, Efficient and Sustainable Organic Vegetable production – BRESOV), sta cercando di attenuare tale criticità con specifici programmi di breeding mentre il nuovo Reg. UE 848 del 2018 sul biologico, che consente la commercializzazione dei materiali eterogenei (varietà costituite da incroci di piante appartenenti alla stessa specie), cerca di rispondere alle nuove istanze provenienti dagli agricoltori.

Le erbe infestanti sono, infine, un’altra problematica rilevante per la competizione esercitata nei confronti delle colture da reddito e per gli elevati costi di manodopera al fine di contenerle.

Alcuni risultati della ricerca di lungo termine

Sulla base di quanto precedentemente accennato, di seguito, si elencano alcuni risultati ottenuti nel dispositivo di lungo termine, gestito con il metodo biologico in oltre 20 anni di sperimentazione.

  •  Evoluzione della fertilità del terreno. Il contenuto di sostanza organica del terreno è passato dall’1,1% iniziale all’1,8% del 2021. Sono stati quindi necessari due decenni per raggiungere un livello soddisfacente di sostanza organica del suolo, utilizzando tecniche agronomiche ecocompatibili. Il sistema è così diventato progressivamente più resiliente: si è abbassata la pressione delle avversità biotiche, mentre le rese sono migliorate e si sono stabilizzate, rendendo possibile ridurre di circa il 20% gli input dei fertilizzanti contenenti azoto.
  • Impatto ambientale della coltivazione biologica. I rilievi entomologici all’interno della rotazione orticola biologica hanno dimostrato che l’impatto ambientale è più basso rispetto alla gestione convenzionale per la maggior abbondanza e biodiversità di insetti biondicatori. L’obiettivo di una elevata diversificazione, da quella microbiologica della rizosfera a quella animale e vegetale del soprassuolo, è fortemente perseguito dal mondo del biologico in quanto si ritiene che una maggiore complessità del sistema possa contribuire ad autoregolare l’agro ecosistema stesso riducendone la dipendenza dagli input esterni.
  • La tecnica agronomica della consociazione. Una ricerca condotta nell’ambito del progetto Horizon 2020 Diversification through Rotation, Intercropping, Multiple Cropping, Promoted by Actors and Value Chains towards Sustainability (DIVERIMPACTS) ha evidenziato che la coltivazione a strisce (consociazione) di frumento e zucchino oltre a diminuire la specializzazione colturale aumenta significativamente la capacità produttiva dello zucchino (Foto 2).
Foto 2 – Coltivazione a strisce di zucchino con frumento tenero (Foto: Gabriele Campanelli)

La tecnica agronomica della gestione conservativa. Il dispositivo sperimentale di lungo periodo ha consentito di condurre approfondimenti sulla gestione conservativa della produzione agricola, basata sull’allettamento delle colture di copertura con un rullo sagomato e la contestuale discissura (taglio verticale) del terreno. Sui solchi aperti dai discissori si trapiantano poi le colture da reddito. I risultati agronomici su specie orticole come pomodoro, peperone, lattuga (Foto 3) e zucchino, ottenuti a seguito delle attività finanziate da diversi progetti nazionali ed internazionali, con questa particolare modalità di coltivazione sono stati positivi non solo per la notevole sanità delle piante, ma anche per le rese produttive. Tra l’altro questa tecnica colturale conservativa consente, oltre che il contenimento delle erbe infestanti, anche un risparmio di carburante del 50% circa rispetto alla gestione classica, tramite trinciatura delle colture di copertura e sul successivo sovescio. Per una proficua applicazione di questa innovazione sarebbe molto utile la collaborazione di ditte produttrici di mezzi meccanici per la messa a punto di utensili quali discissori abbinabili a trapiantatrici e di attrezzi per gestire le eventuali rinascite delle erbe infestanti.

Foto 3 – Lattuga coltivata con la tecnica della non lavorazione (Foto: Gabriele Campanelli)

Miglioramento genetico. L’approccio partecipativo (ricerche condotte in collaborazione tra i ricercatori e tutti i portatori di interesse) ha consentito di selezionare, nell’ambito del 2° Piano sementiero per il biologico finanziato dal MiPAAF, diverse linee di pomodoro afferenti alle tipologie allungato (Foto 4a), ciliegino (Foto 4b) e cuor di bue che attualmente le aziende biologiche continuano a coltivare. I progetti europei BRESOV e LIVESEED hanno invece permesso di selezionare rispettivamente nuovi ibridi di pomodoro a sviluppo indeterminato adatti a produrre in condizioni di scarso sussidio irriguo e nuove varietà a sviluppo determinato caratterizzate da caratteri di rusticità e tolleranza a diverse avversità. Promettenti selezioni di cavolfiore e cavolo-broccolo sotto il profilo agronomico e qualitativo sono state ottenute da programmi di incroci (Foto 4c e Foto 4d) nell’ambito del progetto BRESOV.

Foto 4a – Pomodoro allungato, selezione (Foto: Gabriele Campanelli)
Foto 4b – Pomodoro ciliegino, selezione (Foto: Gabriele Campanelli)
Foto 4c – Cavolfiore violetto, selezione (Foto: Andrea Pepe)
Foto 4 d – Cavolo broccolo con infiorescenza a racemo, selezione (Foto: Andrea Pepe)
  • Qualità della produzione. Gli studi sulle caratteristiche nutrizionali e nutraceutiche delle produzioni ottenute nel dispositivo sperimentale di lungo periodo hanno evidenziato che non è tanto il metodo di coltivazione (biologico vs convenzionale) ad influire su questi parametri quanto piuttosto l’andamento stagionale e il fattore varietale. Solo sul cavolfiore gli studi hanno indicato la tendenza ad un superiore contenuto di sostanze antiossidanti sui campioni provenienti dalla coltivazione biologica.
  • Tracciabilità. Le produzioni del dispositivo sperimentale di lungo periodo sono utilizzate per mettere a punto protocolli di tracciabilità delle produzioni biologiche rispetto a quelle provenienti da coltivazioni convenzionali (Progetto Applicazione di metodi INNOVAtivi per la rintracciabilità dei prodotti dell’agricoltura BIOlogica” – INNOVABIO). I risultati ottenuti sul cavolfiore sono incoraggianti e i protocolli studiati potrebbero essere di supporto ai decisori politici e agli organismi di controllo al fine di riconoscere eventuali frodi.

Conclusione

L’approccio di ricerca multidisciplinare basato su osservazioni di lungo periodo costituisce uno strumento scientifico potente in grado di fornire sia informazioni particolari quando si conducono ricerche specifiche sia una visione d’insieme della coltivazione biologica e delle sue esternalità ambientali e sociali. Tali esternalità sono di difficile quantificazione economica, ma gli effetti sono significativi e vanno a beneficio dell’intera collettività. I ricercatori negli ultimi anni hanno riconosciuto la validità dei dispositivi sperimentali di lungo periodo tanto che è in discussione l’ipotesi di creare una rete europea per collegarli tra loro. In questo ambito il MiPAAF ha finanziato il progetto Promozione E Rafforzamento dei dispositivi di Lungo periodo in agricoltura BIOlogica (PERILBIO) finalizzato a mantenere e potenziare quelli esistenti in Italia.

Storia del dispositivo di lungo termine biologico in atto a Monsampolo del Tronto

Il dispositivo di lungo termine per studiare le rotazioni orticole è nato nel 2001 grazie ad un finanziamento della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Successivamente, l’attività è stata implementata con un progetto finanziato dalla Regione Marche a cui sono seguiti, negli anni, numerosi progetti di ricerca finanziati dal Ministero delle Politiche Agricole e dall’Unione Europea nonché convenzioni con ditte private ed enti pubblici.
La capacità attrattiva del dispositivo sperimentale di lungo termine si è dimostrata forte nei confronti di enti finanziatori e di ricercatori, per la possibilità di svolgere studi interdisciplinari ed olistici. Il valore del dispositivo risiede nella sua capacità di coinvolgimento partecipativo degli attori della filiera (FOTO 5) e, parallelamente, nella possibilità di raccogliere dati scientifici, come testimoniato dalle circa 60 pubblicazioni su riviste referenziate prodotte negli ultimi 15 anni.

Gabriele Campanelli

Le sue indagini seguono approcci interdisciplinari e sono incentrate prevalentemente sull’orticoltura biologica. Gli studi prendono in esame sia le tecniche agronomiche conservative finalizzate a ridurre gli input di coltivazione sia lo sviluppo di programmi di miglioramento genetico partecipativo sulle principali specie orticole

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