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giovedì, 10 Ottobre 2024

Foreste: istruzioni per l’uso… sostenibile 

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Gestione forestale sostenibile e tutela della biodiversità animale e vegetale sono strettamente interconnesse fra di loro. Quando la gestione forestale può essere definita sostenibile? Come possiamo valutarla? Scopriamo i progetti che  il CREA, con il suo Centro di Ricerca Foreste e Legno sta sviluppando, orientati alla quantificazione degli impatti del processo produttivo della filiera foresta-legno sul capitale naturale e sui servizi ambientali erogati dalle foreste, e a testare e sviluppare i diversi indicatori di Gestione Forestale Sostenibile (GFS)

Il concetto di sostenibilità: un po’ di storia  

Il concetto di sviluppo sostenibile è stato menzionato per la prima volta nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, pubblicato dal Club di Roma nel 1972, dove è stato sottolineato il fatto che la crescita economica non sarebbe potuta continuare in maniera illimitata, a causa dell’incremento della popolazione mondiale, della domanda di cibo e del consumo di risorse. Questa semplice, e incontrovertibile, affermazione ha messo in discussione i principi base della teoria economica neoclassica, che, a partire dai lavori di John Stuart Mill (1806-1873), presupponeva una fiducia illimitata nel progresso tecnologico, tale da considerare le risorse naturali come inesauribili e, pertanto, liberamente utilizzabili dall’uomo per il suo benessere e la crescita economica. 

In seguito, la Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo, con la pubblicazione del rapporto “Our Common Future” (UN 1987), ha definito il concetto di sviluppo sostenibile in una prospettiva inter-generazionale, enfatizzando la necessità di includere nei piani di crescita economica anche temi come la conservazione della natura e l’equità sociale. Secondo questa definizione, lo sviluppo sostenibile si deve basare su un approccio olistico, in grado di collegare i tre pilastri della sostenibilità: lo sviluppo economico, la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale. 

Sostenibilità e servizi ecosistemici 

Per  meglio comprendere come il concetto teorico di sostenibilità possa essere tradotto in termini pratici, è necessario distinguere tra due prospettive d’analisi: quella antropocentrica (o della sostenibilità debole) da quella ecocentrica (o della sostenibilità forte). La sostenibilità debole non si discosta di molto dai principi teorici dell’economia neoclassica, in quanto presuppone la riproducibilità delle risorse attraverso l’attività umana e lo sviluppo tecnologico, mettendo tuttavia l’accento sulla necessità di una politica di protezione dello stock totale di risorse rinnovabili e non-rinnovabili di un determinato territorio (definito come capitale naturale). Viceversa, la sostenibilità forte non considera l’attività umana e lo sviluppo tecnologico in grado di sostituire il capitale naturale, pertanto esso deve essere salvaguardato a beneficio delle generazioni future, attraverso misure atte a tutelare le risorse non rinnovabili e a garantire la riproducibilità di quelle rinnovabili. Il conseguimento dei principi della sostenibilità forte può essere misurato sulla base degli impatti che un’attività produttiva ha sull’accumulo di risorse di un determinato territorio e sul flusso di servizi ambientali generati dal capitale naturale (Figura 1).  

Figura 1. Relazione tra il concetto di sostenibilità e di capitale naturale 

I servizi ambientali sono stati definiti dal Millennium Ecosystem Assessment (2005) come i molteplici benefici forniti dagli ecosistemi a sostegno della vita e del benessere umano, classificati in quattro principali categorie: i servizi di approvvigionamento (es. cibo, materie prime, acqua dolce), i servizi di regolazione (es. ciclo dell’acqua, protezione dall’erosione e dai dissesti idrogeologici), i servizi di supporto alla vita (es. diversità naturale), e i servizi culturali (es. valori estetici, ricreativi, storici e spirituali). 

Per comprendere se un progetto, un’azione o un intervento è “sostenibile” in termine di impatti sul capitale naturale e sui servizi ambientali è necessario quantificare i:  

  • Potenziali benefici economici derivanti dall’implementazione dell’intervento e la loro distribuzione tra le categorie di attori sociali del territorio; 
  • Potenziali impatti sul capitale naturale, affinché non si verifichi un eccessivo utilizzo delle risorse rinnovabili rispetto alla capacità di riproduzione; 
  • Potenziali impatti sui servizi ambientali forniti dal capitale naturale, affinché il loro flusso rimanga uguale o si incrementi nel tempo. 

Per quanto concerne quest’ultimo punto, è necessario sottolineare come gli impatti derivanti dall’implementazione di un intervento possano dare luogo a effetti sinergici o antagonistici tra servizi ambientali. In altre parole, un intervento finalizzato a migliorare un determinato servizio ambientale di un’area (es. valorizzazione turistico-ricreativa) può portare ad una riduzione del flusso di altri servizi (es. biodiversità).  

Sulla base di quanto detto, si intuisce come sia di fondamentale importanza sviluppare metodi e tecniche in grado di monitorare l’impatto dei processi produttivi sul capitale naturale e sui servizi ambientali da esso erogati.  

Gestione Forestale Sostenibile e biodiversità 

Il concetto di sostenibilità è talmente importante nella gestione delle risorse ambientali, e nello specifico delle risorse forestali, da rappresentare l’elemento distintivo nella definizione di criteri ed indicatori di gestione forestale. Una tappa importante in questo processo è stata la Conferenza delle Nazioni Unite svoltasi a Rio nel 1992, che ha posto le basi per l’impiego del concetto di Gestione Forestale Sostenibile (GFS). Negli anni successivi alla Conferenza, sono state avviate diverse iniziative per la definizione e la messa a punto di Criteri ed Indicatori (C&I) GFS. Per il contesto europeo, una rilevanza particolare hanno avuto le Conferenze Ministeriali sulla protezione delle Foreste, la prima delle quali si è svolta a Strasburgo nel 1990. Durante la Seconda Conferenza, svoltasi ad Helsinki nel 1993, è stata emanata la risoluzione H2 “Linee guida generali per la conservazione della biodiversità delle foreste europee” (MPCFE 1993). Dalla terza Conferenza, svoltasi a Lisbona nel 1998, è stata approvata la risoluzione L2 “Criteri, Indicatori e Linee guida operative pan-europee per la gestione forestale sostenibile” (MCPFE 1998), che ha posto le basi per la prima definizione pan-Europea di C&I di GFS, che sono stati successivamente ampliati e rivisitati nelle successive conferenze di Vienna (2003) e Madrid (2015).  

Tra gli elementi di rilievo dei Criteri GFS, la tutela della diversità biologica rappresenta un elemento chiave, come era già stato sancito nella seconda Conferenza Ministeriale ad Helsinki tramite la risoluzione H1 (MPCFE 1993). Tuttavia, a fronte della considerazione ricevuta, alcune limitazioni sono attualmente oggetto di discussione. Il primo elemento di criticità, evidente dalla disamina dei 10 Indicatori GFS relativi alla biodiversità (Criterio 4), è che la diversità biologica considerata è pressoché esclusivamente ascrivibile alla vegetazione, con la sola eccezione di 34 specie ornitiche più diffuse, che sono state comprese nell’indicatore 4.10. È evidente che tali indicatori non possono permettere di valutare la sostenibilità della gestione nei confronti della diversità complessiva degli ecosistemi forestali: questi, infatti, forniscono un habitat a circa tre quarti delle specie di piante, funghi e animali terrestri esistenti al mondo. Basti pensare, per esempio, ad organismi come i coleotteri saproxilici includono circa il 20% delle specie considerate ad alto rischio di conservazione (Calix et al., 2018) e ai funghi, che hanno un ruolo chiave nel funzionamento degli ecosistemi forestali (Brunialti et al. 2020). Da un altro punto di vista, alcuni indicatori come il legno morto e la presenza di micro-habitat possono essere considerati dei proxy della biodiversità, ma de facto l’informazione che forniscono necessiterebbe di dati complementari sulla composizione specifica degli organismi che crescono e si sviluppano nei popolamenti forestali. 

Recentemente sono stati condotti molti sforzi indipendenti, principalmente da iniziative di ricerca, per cercare di colmare il divario di conoscenza tra gestione forestale e impatto sui diversi organismi viventi. Una recente azione COST CA18207 “Biodiversity Of Temperate forest Taxa Orienting Management Sustainability by Unifying Perspectives (Bottoms-Up)” sta affrontando tale tematica, creando una piattaforma di dati sulla struttura e diversità multi-tassonomica a scala europea, che permetta di fornire una base informativa per comprendere l’effetto della gestione forestale basata su dati reali e testare indicatori GFS consolidati e innovativi per la tutela della biodiversità. Uno dei primi obiettivi raggiunti dall’azione è la definizione di uno standard per il campionamento dei differenti gruppi tassonomici, e la loro integrazione nel rilievo delle risorse forestali (Burrascano et al. 2021). I risultati dell’azione hanno messo in luce come tale tematica rappresenta un elemento di notevole interesse per contribuire alla tutela della biodiversità forestale.  

Il contributo del CREA Foreste e Legno alla gestione forestale sostenibile 

In questi ultimi anni, il CREA sta sviluppando, attraverso alcuni progetti finanziati nell’ambito del programma LIFE dell’Unione Europea, una serie di metodi e di tecniche volte alla quantificazione gli impatti del processo produttivo della filiera foresta-legno sul capitale naturale e sui servizi ambientali erogati dalle foreste, e a testare e sviluppare i diversi indicatori di GFS. La quantificazione di tali impatti è il primo passo per un efficace monitoraggio dei processi produttivi in una prospettiva di sostenibilità forte. Nello specifico, i progetti LIFE SelPiBio e FoResMit si sono focalizzati su come gli interventi di cura del bosco (diradamenti), implementati in popolamenti forestali degradati, possano migliorare quantitativamente e qualitativamente l’erogazione di importanti servizi ambientali utili all’uomo, quali: la produzione di legname di qualità e bioenergia; la mitigazione dei cambiamenti climatici, attraverso un maggiore immagazzinamento dell’anidride carbonica atmosferica nelle piante, nel suolo e nel legno morto; il miglioramento dell’estetica del paesaggio. I risultati di questi progetti hanno dimostrato che una gestione attiva di boschi degradati può contribuire, in primo luogo, alla mitigazione dei cambiamenti climatici e al contempo al miglioramento in modo sinergico della qualità del paesaggio, della fruizione turistico-ricreativa e della biodiversità forestale. Infine, nell’ambito del progetto LIFE SPAN in corso di svolgimento, i ricercatori del CREA stanno mettendo a punto un protocollo per il monitoraggio dei cambiamenti dei flussi biofisici ed economici di servizi ambientali, erogati dal legno morto presente nel bosco, in una prospettiva di sostenibilità forte. In termini di GFS, va segnalato inoltre il progetto LIFE FutureForCoppiceS, che si è occupato di testare e sviluppare nuovi indicatori di GFS per i boschi cedui, che rappresentano una risorsa rilevante a scala Europea, ma che sono stati spesso poco considerati negli scenari GFS (Cutini et al. 2021). 

Alessandro Paletto

Nella sua attività di ricerca si occupa principalmente di tematiche inerenti alla valutazione biofisica ed economica dei servizi ecosistemici e al coinvolgimento dei portatori d’interesse nella gestione forestale.

#lafrase Il paesaggio è lo spazio dove si legge il mondo nella sua complessità (G. Simmel, 1912-1913) 

Francesco Chianucci

Nella sua attività di ricerca si occupa principalmente di sviluppare metodologie per il monitoraggio forestale, e l’analisi delle relazioni tra struttura, biodiversità e funzionamento degli ecosistemi forestali. 

#lafrase La natura tende sempre ad agire nella maniera più semplice (Bernoulli)

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