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Sostenibilità in pratica 1/ – Il biodistretto del Chianti

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Rinomata per la produzione di vino di qualità associata ad un turismo rurale molto sviluppato, l’area del Chianti è a rischio degrado. Occorre pertanto ripensare la gestione del territorio, in vista di una transizione verde. Oltre ad aumentare le produzioni agricole biologiche, quali azioni possono creare un sistema agricolo sostenibile e resiliente? Da qui la collaborazione con il progetto UNISECO del CREA Politiche e Bioeconomia, conclusosi da poco, teso a individuare gli approcci agroecologici più efficaci per assicurare la sostenibilità socioeconomica delle aziende agricole, la resilienza dell’ecosistema agroalimentare locale e per tutelare al tempo stesso la biodiversità e il paesaggio nelle aree rurali.

Il Biodistretto del Chianti

L’area del Chianti è nota a livello internazionale per la produzione di vino di qualità associata ad un turismo rurale molto sviluppato. Il territorio è caratterizzato da un equilibrio peculiare tra sistema insediativo storico, produzioni agricole e paesaggio, che, tuttavia, può essere minacciato da uno sviluppo rurale non armonico.

I maggiori rischi di degrado del paesaggio (naturale e culturale) sono associati alla riconversione colturale (ad esempio da uliveto a vigneto specializzato), all’abbandono delle superfici agricole marginali – con il progressivo avanzamento incontrollato del bosco – e all’urbanizzazione: minacce per quelle immagini rurali, ormai parte dell’immaginario collettivo globale, che rendono così rinomata ed unica al mondo la zona del Chianti.

A ciò, si aggiungono il problema della gestione delle crescenti popolazioni di fauna selvatica e lo scarso sviluppo di filiere locali di prodotti diversi dal vino, che tradizionalmente sono stati legati al territorio (olio, formaggi, carni e salumi, legumi, zafferano, produzioni orticole e cerealicole di piccola scala). La riduzione della diversificazione della maglia agraria e l’intensificazione della gestione dei vigneti provocano consumo di suolo e inquinamento di aria e acqua, riducendo la possibilità di recuperare terreni per ripristinare filiere agroalimentari abbandonate.

In questo contesto nasce il Biodistretto del Chianti, un’iniziativa di un gruppo di viticoltori biologici e altri attori locali, che hanno riconosciuto l’esigenza di un nuovo modello di governance del territorio. Il Biodistretto vuole valorizzare l’ampia gamma di servizi forniti dagli agroecosistemi locali, anche attraverso la (ri)diversificazione delle filiere agroalimentari locali.

Il progetto UNISECO

Per raggiungere gli scopi prefissi dal Biodistretto è stata attivata una collaborazione con il progetto di ricerca UNISECO[1], finanziato dalla Unione Europea con i fondi Horizon 2020. In sostanza la ricerca ha incentrato l’attenzione sul ruolo del Biodistretto nel rispondere alle seguenti sfide: a) come sia possibile fornire beni pubblici in agricoltura (ad esempio mantenere la biodiversità e il paesaggio nelle aree rurali) attraverso una produzione di beni privati economicamente conveniente; b) come assicurare la sostenibilità economica e sociale delle aziende agricole, senza essere eccessivamente dipendenti dalle risorse pubbliche. Un tema all’ordine del giorno nel dibattitto europeo sulla riforma della Politica Agricola Comunitaria.

L’introduzione dei principi agroecologici nella gestione delle aziende agricole ha trovato un terreno fertile nella realtà agricola del Chianti Classico, dato che la superficie coltivata con metodo biologico è pari al 33% della superficie agricola complessiva, ben oltre il dato nazionale e regionale. Questo contesto, così consapevole delle problematiche, ha consentito il costante coinvolgimento di operatori del settore – i cosiddetti stakeholder – nelle discussioni per identificare le strategie più adatte.

I ricercatori – assieme agli operatori locali – si sono chiesti se, al di là della pur positiva tendenza ad aumentare le produzioni agricole biologiche, ci siano ulteriori azioni utili a creare un sistema agricolo sostenibile e resiliente. L’idea di riprogettare gli elementi del sistema socio-ecologico, in vista di una transizione agroecologica, ha trovato risposta nelle iniziative locali volte a creare un biodistretto del Chianti.

Lo scopo generale è quello di diffondere ulteriormente le pratiche agronomiche ispirate ai principi dell’agroecologia nelle aziende agricole. La diversificazione colturale e la transizione agroecologica, però, si potrà concretizzare soltanto se tutte le componenti sociali ed economiche del territorio si coordineranno nelle attività del biodistretto. Le innovazioni studiate nell’ambito del progetto UNISECO sono di carattere sociale e riguardano prevalentemente i processi di interazione tra gli attori coinvolti nella ricerca di soluzioni cooperative ad un problema complesso, con connotati sia di natura ambientale che socio-economica.


[1] https://uniseco-project.eu/

I risultati

I risultati dimostrano che le pratiche sostenibili proposte e studiate in aziende rappresentative (es. inerbimento interfilare nelle colture permanenti; monitoraggio delle coltivazioni; compostaggio a piccola scala) riducono la perdita di biodiversità e le emissioni di gas serra e allo stesso tempo non hanno impatti significativi sulla sostenibilità economica delle aziende agricole.

Dalle analisi effettuate emerge che il recupero dell’olivicoltura nelle aree più marginali e l’introduzione di seminativi e orticoltura nei terreni in via di abbandono sono azioni chiave per la promozione della diversificazione delle colture. Si tratta di azioni che devono essere promosse attivando nuove reti locali di filiera, rafforzando i servizi di consulenza e facilitando l’accesso alla terra.

Gli operatori, inoltre, affermano che le iniziative di base a favore dell’agricoltura biologica sono il motore chiave per stimolare la transizione agroecologica a livello territoriale, ma che devono essere promosse ulteriori iniziative di cooperazione per superare le diseconomie di scala, che gravano sulle piccole e medie imprese, ad esempio per la condivisione di macchinari, dei servizi di consulenza o dei dati meteorologici.

Il Biodistretto rappresenta un nuovo modello di governance territoriale, che potrebbe stimolare ulteriormente la diffusione di pratiche e principi agroecologici a livello territoriale, ma sono necessari nuovi assetti istituzionali per garantire un più forte coinvolgimento degli stakeholder locali. Per questo si ritiene che la Regione Toscana sia sulla buona strada con la recente approvazione di una legge sui Distretti Biologici.

In sintesi, proporre, assieme alle parti sociali, una strategia per la transizione agroecologica rappresenta una opportunità per un territorio di grande valenza produttiva e culturale, ma che deve garantire la sostenibilità e la resilienza del proprio (eco)sistema agricolo e alimentare.


#CREABREAK #agroecologia e #biodistretti: una sfida per la sostenibilità delle aree rurali
Andrea Povellato
Dirigente di ricerca CREA – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

Si occupa di valutazione delle politiche agricole e per lo sviluppo rurale, di analisi socio-economiche aziendali e cura l’Indagine sul mercato fondiario

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