Le nuove tecnologie sono un passaggio obbligato verso una maggiore redditività, una più decisa riduzione dei costi di produzione e l’inevitabile resilienza ai cambiamenti climatici. Senza dimenticare quella attenzione alla sostenibilità ambientale e al benessere animale sempre più richiesta dai consumatori.
In Italia, il comparto zootecnico contribuisce per poco meno del 30% alla produzione agricola nazionale, con 214.000 aziende che allevano 203 mln di capi, inclusi gli alveari (ISTAT, 2020). La maggioranza assoluta in termini di importanza numerica è costituita da volatili domestici (circa 170 mln) seguiti da suini, ovini, bovini, conigli e specie minori. Il Sud Italia detiene il primato di aziende con capi (compresi alveari e altri allevamenti). Su scala regionale, la Sardegna primeggia con circa 24 mila aziende (10% del totale), seguita da Lombardia e Veneto, con circa 20 mila aziende, e dal Piemonte con 18 mila aziende. Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e la Provincia autonoma di Trento, entrambe con circa 4 mila aziende (il 2% del totale). Il contributo maggiore di animali allevati spetta al Nord-est, dove si trova la metà di tutti i capi censiti (quasi un terzo nel solo Veneto). In questa ripartizione gli avicoli e i conigli raggiungono le consistenze maggiori in Italia, con un buon contributo anche di bovini e suini. Il Nord-ovest precede le altre ripartizioni per consistenza di suini e bovini mentre, dopo le Isole, il Centro ha la minore consistenza di capi totali, con avicoli ed ovini come tipologie più numerose. Nel Sud, oltre agli avicoli, primeggiano gli ovini e i bovini.
L’allevamento bovino e bufalino
Presso la sede di Monterotondo del CREA-Zootecnia e Acquacoltura (CREA-ZA), si allevano oltre 300 bufale e altrettanti bovini da latte e da carne. Le strutture, ed in particolare la stalla bufalina, hanno subito nell’ultimo quinquennio una transizione digitale col fine di rispondere all’esigenza di una maggiore efficienza degli allevamenti zootecnici inseriti nella filiera del latte, valorizzando al contempo il benessere animale e la sostenibilità ambientale delle produzioni. Tramite l’impiego di sensori e strumenti informatici si studiano le relazioni tra la componente climatica e la risposta fisiologica degli animali, le emissioni di gas climalteranti, gli aspetti riproduttivi, l’alimentazione, le tecniche di allevamento. L’ultimo decennio, ha visto una crescita continua nell’utilizzo di dispositivi digitali dedicati al rilievo continuo dei parametri produttivi, comportamentali e sanitari, in particolare nelle stalle di medie e grandi dimensioni di bovine da latte e di suini e negli allevamenti avicoli. Contemporaneamente si è assistito alla creazione di grandi database per la gestione congiunta dei dati, dedicati al miglioramento genetico, al miglioramento gestionale e alla sorveglianza sanitaria. Tuttavia, vi sono alcuni elementi critici nella definitiva e sistematica diffusione della tecnologia di stalla dovute principalmente agli elevati costi di acquisto e di gestione delle strumentazioni e alla difficoltà di un corretto uso e interpretazione dei dati che ancora gli allevatori incontrano e che ne limita la reale fruibilità da parte dei diretti utilizzatori.
Il mondo dell’allevamento bufalino inoltre, per motivi strutturali e commerciali, è stato coinvolto marginalmente in questo processo di digitalizzazione. La bufala è considerata un animale rustico e resistente, produttivo, ma poco esigente in generale. Tuttavia, per le sue caratteristiche intrinseche oltre che per le conseguenze dei cambiamenti climatici, l’allevamento bufalino può trarre ampio giovamento dall’applicazione della tecnologia. Per fare un rifermento pratico si pensi all’importanza del corretto rilevamento dei calori. Nella bufala questo è reso difficile dal fatto che, costitutivamente, la manifestazione esterna dell’estro è poco evidente. In questo contesto l’uso di accelerometri, diffuso nel settore della vacca da latte, (sensori che, solitamente tramite il rilievo del movimento, della ruminazione e dell’ingestione alimentare a livello individuale consentono di individuare l’animale in calore) possono essere un aiuto determinante. In aggiunta la normativa europea è sempre più restrittiva nei confronti dell’utilizzo di farmaci in zootecnia e ciò limiterà in modo crescente il ricorso all’uso di pratiche di sincronizzazione ormonale dei cicli ovarici (protocolli che consentono di indurre artificialmente il calore in tempi prefissati). Ciò rende ancora più necessario un sistema di individuazione affidabile ed efficiente dei calori naturali. Inoltre, tali sensori forniscono, anche tramite sistemi di allerta, informazioni su alimentazione, salute e benessere del soggetto, aumentando il paniere dei vantaggi ottenibili da un unico strumento. Tramite l’uso di sensori auricolari, al CREA, si è potuto mettere in luce che la bufala, oltre ad essere sensibile, a basse temperature (in particolare ondate di freddo, cioè repentini e consistenti abbassamenti della temperatura), mostra, nei nostri climi, segni di stress da caldo, nonostante l’origine tropicale della specie, riconducibili fra l’altro a sensibili variazioni della temperatura corporea, dell’assunzione idrica, del comportamento alimentare (si veda anche il relativo articolo su creafuturo). L’impiego quindi di sensori che evidenzino in modo precoce i primi segni di stress consente di limitare o evitare il danno tramite l’adozione di misure correttive e di contenimento.
Le attività del CREA si stanno concentrando, oltre che nella messa a punto di algoritmi specie-specifici e nella validazione di quelli in commercio anche su specie o categorie animali diverse (ricordiamo che la maggioranza delle applicazioni è sviluppata per la bovina lattifera), sullo sviluppo di sensori open source e di piattaforme software di facile uso e comprensione per la visualizzazione e la gestione dei segnali. In tal modo, e con il progressivo sviluppo delle tecnologie digitali in stalla, è ipotizzabile una sensibile riduzione dei costi ed una semplificazione dell’accesso agli strumenti offerti dalla loro applicazione. Per concludere con un esempio si consideri che ad oggi un singolo sensore, ad esempio, di movimento ha un costo compreso tra i 30 ed i 150 euro (in funzione della tipologia e delle caratteristiche offerte). A questi vanno aggiunti i pacchetti software (ciò che permette di visualizzare grafici, andamenti e allarmi e quindi di trasformare un segnale elettronico in qualcosa di direttamente “leggibile” su un PC o uno smartphone). I software specifici sono poi solitamente suddivisi in diversi moduli (nutrizione, riproduzione e salute) ed ognuno può avere un costo di qualche migliaio di euro, fino ad arrivare ad alcune decine di migliaia di euro in totale per il sistema finito in stalle di medie dimensioni (100 capi). Infine, i contratti coi fornitori dei servizi hanno quasi sempre orizzonti di tempo limitati (es. 1 anno o 5 anni), trascorsi i quali occorre sottoscriverne uno nuovo. Il ricorso quindi a soluzioni informatiche e sensoristiche free and open source (cioè gratuite, customizzabili e assemblabili a partire dai costituenti primari) consentirebbe di abbattere i costi dovuti a licenze, assistenza, download oltre che a quelli di acquisto degli stessi strumenti fino ad oltre il 90% (J.M.Pearce, 2020).
L’allevamento degli avicoli
Secondo l’ISMEA (2024), dal contesto globale si evince che la produzione europea di carni avicole è cresciuta del 24% negli ultimi 10 anni, nonostante il ripiegamento negli anni 2021 e 2022. Nel 2023, la produzione europea è stata di circa 11,4 milioni di tonnellate, con un grado di autoapprovvigionamento del 108% che le permette di confermare la posizione di esportatore netto (Eurostat, 2024). In Italia, la produzione avicola del 2023 registra un incremento del 9,9% sull’anno precedente, in cui aveva perso il 12% per i problemi legati all’influenza aviaria (ISTAT, 2024). Perciò, si sono ridotte le importazioni di carni (-22%) e tornano ad aumentare le esportazioni (+29%). Circa 560 milioni di polli, oltre 41 milioni di galline ovaiole e quasi 25 milioni di tacchini sono stati allevati in ambito nazionale, nell’intero anno 2023. I capi si sono concentrati territorialmente su Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
L’Italia registra un PIL ai prezzi di mercato del 2023 in aumento (ISTAT, 2024). Per il comparto avicolo può aver contribuito l’aspetto produttivo, sia sul fronte della domanda, sia su quello dell’offerta, altrettanto non può dirsi per il livello dei prezzi medi in allevamento. Al contempo, la crescita degli allevamenti avicoli ha portato alla crescita dell’intensivizzazione, compromettendo talvolta il benessere dell’animale.
Il CREA-ZA contribuisce attraverso prove di benessere, alimentazione e adattabilità ambientali di polli da carne eseguite nel pollaio sperimentale situato presso la sede di Monterotondo. Al suo interno sono stati installati impianti automatici di abbeveraggio e alimentazione, e un robot per il monitoraggio degli animali e dei parametri ambientali. Quest’ultimo, dotato di telecamere e sensori, è capace di misurare costantemente: ammoniaca, anidride carbonica, umidità, temperatura, intensità luminosa e livello sonoro. Il dispositivo cammina silenziosamente su un binario sopraelevato lungo tutto il pollaio senza arrecare stress agli animali, inoltre, essendo dotato di un apposito software è in grado di avvisare in tempo reale gli operatori di eventuali superamenti dei valori dei parametri impostati per garantire il benessere animale e in caso, intervenire prontamente. Ad oggi il robot rappresenta un’innovazione tecnologica di altissimo livello in grado di offrire una maggiore efficienza e produttività con un abbattimento dei costi. Inoltre, il pollaio è dotato di un’area esterna caratterizzata dalla presenza di essenze vegetali spontanee, dove gli animali hanno la possibilità di esprimere al meglio il loro comportamento naturale.
Risulta quindi di notevole importanza, anche per il comparto avicolo, l’adozione di nuove tecnologie a supporto delle aziende, le quali, integrate con pratiche di allevamento volte a migliorare il benessere animale possano offrire strumenti e tecniche in grado di perfezionare il settore.
Il pollaio è dunque un dispositivo sperimentale che permette di ottenere informazioni trasferibili agli allevamenti commerciali. Negli ultimi anni sono state effettuate prove sperimentali orientate su soluzioni strategiche per gli allevatori.
In particolare, è stato testato l’utilizzo di un additivo naturale nella lettiera per mitigare l’emissione di ammoniaca da quest’ultima. L’ammoniaca è un gas nocivo per la salute e per l’ambientale e viene prodotto in grandi quantità negli allevamenti intensivi. La sua riduzione risulta di notevole interesse per gli allevatori al fine di migliorare il benessere animale e ridurre l’impatto ambientale.
Sono state effettuate anche prove di alimentazione al fine di valutare la possibilità di sostituire, totalmente o almeno in parte, la quota proteica derivante dalla soia nei mangimi per avicoli con una fonte alternativa. Questa problematica sorge in quanto l’allevatore è costretto a valutare anche il fattore economico nella gestione del suo allevamento.
Inoltre, sono state fornite risposte specifiche agli allevatori rispetto all’adattabilità di determinate linee genetiche all’allevamento biologico. Le prove effettuate hanno valutato non solo le performances di crescita degli animali ma anche il loro benessere, la loro attività in tutte le fasi di vita, la reattività agli stimoli e l’attitudine all’utilizzo dei parchetti esterni.
Anche il comparto avicolo, quindi, sta cercando di affrontare le sfide della competitività e della sostenibilità. È importante sottolineare che negli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti nel comparto avicolo, ma anche che i margini di miglioramento sono estesi e l’attività di ricerca del CREA si sta muovendo proprio in questa direzione.
L’acquacoltura
Il settore dell’acquacoltura italiana conta oltre 500 imprese, con una prevalenza di molluschicolture (55%), concentrate nella zona del Delta del Po, e una produzione totale di oltre 130.000 tonnellate, per un valore superiore ai 550 milioni di euro nel 2022 (EUROSTAT). La gran parte della produzione (75%) è concentrata in acque marino-salmastre: oltre ai molluschi bivalvi (mitilo, vongola verace e ostrica concava), che rappresentano il 63% della produzione totale, le principali specie allevate sono l’orata, la spigola e l’ombrina boccadoro, prevalentemente in gabbie a mare. Nonostante la produzione di specie ittiche marine rappresenti solo il 13% del totale, in termini di valore economico, l’impatto di questo settore è notevolmente più alto. In acque dolci, la varietà di specie allevata è maggiore e, nonostante la trota iridea sia la protagonista indiscussa, esiste una certa differenziazione: dai pesci gatto, agli storioni, ai salmerini, alle carpe, fino a specie minori come la tinca, il persico spigola o il persico trota.
Le imprese italiane, principalmente micro e piccole, spesso a carattere familiare, dovranno affrontare sfide importanti nei prossimi anni per accrescere la competitività dei propri prodotti sul mercato nazionale ed internazionale, garantendo, allo stesso tempo, la sostenibilità ambientale dell’intera filiera. Sfide che richiedono una visione chiara e investimenti mirati: il Fondo Europeo Affari Marittimi Pesca e Acquacoltura (FEAMPA) è lo strumento principale a disposizione del settore per intervenire in diverse linee strategiche identificati dal MASAF nel Piano Nazionale Acquacoltura 2021-2027, che il CREA ha contribuito a predisporre.
Il CREA collabora con le aziende e le associazioni di categoria per comprendere le specifiche esigenze del settore e progettare insieme, attraverso il binomio ricerca e innovazione, possibili soluzioni alle sfide future dell’acquacoltura. Una sinergia cruciale fra enti di ricerca e aziende private per realizzare quel trasferimento tecnologico di cui il settore ha bisogno.
Molluschicoltura
Sebbene rappresenti oltre il 60% delle produzioni, la molluschicoltura si concentra in Italia su due specie, il mitilo mediterraneo e la vongola verace. L’allevamento delle ostriche è ad oggi marginale, nonostante sia in crescita da alcuni anni, sia a causa della diminuzione della disponibilità di seme naturale disponibile per le prime due specie, che spinge i produttori a diversificare le proprie attività, sia grazie alle numerose attività di cooperazione tra aziende di ostricoltura.
Le sfide oggi per i molluschicoltori sono numerose: l’allevamento dei molluschi bivalvi, organismi che crescono filtrando il proprio nutrimento direttamente dalla colonna d’acqua, è fortemente influenzato dall’ambiente, dalla qualità dell’acqua, dalla disponibilità di fitoplancton. Inquinamento antropico delle acque costiere, progressiva acidificazione e innalzamento delle temperature medie del Mediterraneo, con conseguenti effetti sulla frequenza e intensità degli eventi meteo-marini estremi e sull’aumento demografico di alcune specie aliene invasive che mettono a rischio la redditività delle imprese di acquacoltura, sono alcune delle sfide da affrontare. Come? È il caso emblematico, questo, in cui la ricerca può supportare le imprese per abbattere i rischi d’impresa ed aumentarne la redditività, attraverso strumenti gestionali all’avanguardia. È il caso, ad esempio, della messa a punto di modelli predittivi che, coniugando il monitoraggio dei parametri ambientali nei siti di allevamento agli algoritmi di classificazione dell’intelligenza artificiale, consentono di prevedere con un certo margine di anticipo eventi potenzialmente dannosi, come fioriture di alghe tossiche, aumento estremo delle temperature o pericolosi abbassamenti dei livelli di ossigeno disciolto. In questi casi, un intervento tempestivo da parte del produttore, che può decidere di raccogliere in anticipo il prodotto o di metterlo in sicurezza con opportune strategie di intervento, può mettere al sicuro il suo investimento.
Attraverso l’analisi di scenario, i ricercatori possono suggerire al produttore possibili strategie di adattamento a medio e lungo termine della mitilicoltura ai cambiamenti climatici, e valutare attraverso il Life Cycle Assessment gli impatti ambientali dei possibili scenari di adattamento, come ad esempio lo spostamento dei siti produttivi più lontano dalle coste, per limitare gli effetti negativi dell’acidificazione delle acque costiere sulla crescita dei mitili.
La ricerca scientifica può rappresentare uno strumento per aumentare la redditività delle imprese di molluschicoltura anche attraverso la definizione di metodi per quantificare economicamente gli impatti positivi di questo settore, quelli che definiamo “servizi ecosistemici”. Tra questi, un esempio emblematico è rappresentato dai crediti di carbonio, una forma di valuta ambientale utilizzata per misurare e compensare le emissioni di gas serra. Il sequestro di carbonio nella conchiglia da parte dei molluschi bivalvi, una volta chiariti i meccanismi alla base di questo processo, potrebbe essere trasformato in un vero e proprio ritorno economico per il produttore.
Infine, queste specie, i cui cicli vitali sono più brevi e semplici di quelli delle specie ittiche, possono essere un modello per istituire dei programmi genetici mirati alla selezione di specie tolleranti all’aumento delle temperature, all’acidificazione dei mari o, ancora, più resistenti all’attacco di predatori o all’insorgenza di patologie.
Piscicoltura
La piscicoltura in Italia è molto diversificata, rispetto alla media europea, in termini di specie allevate, marine o di acqua dolce, e di tipologie di allevamento (in mare aperto, nelle lagune costiere o in vasche a terra).
Non è semplice, quindi, trovare strategie comuni che possano rispondere alle esigenze degli allevatori, intenzionati ad incrementare le proprie produzioni e a migliorare la qualità dei prodotti, investendo allo stesso tempo in pratiche sempre più sostenibili.
Sebbene la piscicoltura sia considerata un’attività zootecnica a bassa impronta carbonica, le imprese del settore sono chiamate ad uno sforzo comune per mitigare sempre più gli eventuali impatti negativi sull’ambiente, aumentando, ad esempio, la quota di consumo energetico da fonti rinnovabili, o limitando l’uso di materiali plastici monouso in favore di materiali ecocompatibili (riutilizzabili, riciclabili o biodegradabili), lungo tutta la catena del valore.
Per poter calzare queste strategie alle specifiche realtà produttive, è necessario che le aziende quantifichino le proprie emissioni di carbonio, utilizzando strumenti di analisi sistematica validati a livello internazionale (come l’ LCA), per poi identificare possibili nodi critici lungo il processo di produzione e predisporre misure di mitigazione mirate ed efficaci.
Gli impianti di piscicoltura, sia quelli localizzati lungo i fiumi che nelle aree marino costiere, influenzano i processi ecologici di questi ecosistemi naturali, tanto da rivestire un ruolo nodale nella loro conservazione e gestione (l’acquacoltura estensiva nelle lagune, ad esempio, consente di gestire questi ambienti di transizione, che altrimenti per loro natura tenderebbero a scomparire). Spesso, la localizzazione degli impianti di piscicoltura in zone sensibili e fortemente influenzate dagli effetti dei cambiamenti climatici impone alle aziende di dotarsi di strategie di adattamento e per aumentare la resilienza dei propri sistemi.
Sarà, pertanto, prioritario nel prossimo futuro per gli allevatori mettere in campo diverse soluzioni, quali: i) la diversificazione delle produzioni, selezionando specie ittiche tolleranti alle variazioni di temperatura e salinità; ii) l’impiego di strumenti di monitoraggio in tempo reale e di modelli predittivi, utilizzando tecnologie avanzate come il telerilevamento e l’intelligenza artificiale; iii) l’investimento in infrastrutture più resistenti agli eventi metereologici estremi. Azioni ad ampio spettro che, integrandosi, potranno contribuire in ultima analisi a sistemi di produzione alimentare più redditizi, sostenibili e sicuri.
Un tema strettamente legato alla qualità del prodotto finale e alla fiducia dei consumatori verso i prodotti ittici e il sistema produttivo italiano è quello del benessere animale degli animali acquatici. È quindi prioritario continuare a lavorare per il miglioramento del benessere in allevamento degli animali acquatici, facendo uso di strumenti di monitoraggio e diagnostici innovativi per la prevenzione e il controllo delle malattie, esplorando alternative all’uso di antimicrobici, incrementando l’utilizzo di vaccini e di molecole ad effetto immunostimolante.
#lafrase
Quel che vedo nella natura è una struttura magnifica che possiamo capire solo molto imperfettamente, il che non può non riempire di umiltà qualsiasi persona razionale. (Albert Einstein)
Si occupa di nutrizione ed alimentazione degli animali da reddito, con particolare riferimento alla sostenibilità delle produzioni zootecniche, e di zootecnia di precisione.
#lafrase Sbagliare è cosa umana, anche per questo: gli animali sbagliano poco o non sbagliano affatto (G.C. Lichtenberg)
Attività di supporto e cooperazione per il miglioramento di allevamenti biologici, con focus su monogastrici biologici, mangimi biologici e salvaguardia del benessere animale.
#lafrase La ricerca della scienza è un viaggio senza fine fatto di curiosità, perseveranza e meraviglia, e le sue ricompense sono incommensurabili (Carolyn R. Bertozzi)
Le sue principali linee di ricerca sono lo studio di programmi di gestione e conservazione di specie d’acquacoltura di interesse commerciale, di modelli produttivi sostenibili, di alimenti innovativi e di valutazione degli impatti dei prodotti dell’acquacoltura.
È impegnata nel campo della ricerca applicata in acquacoltura, produzioni sostenibili, analisi della qualità morfo-anatomica e nutrizionale dei prodotti ittici, nutrizione sostenibile in acquacoltura ed effetti della domesticazione sulla forma delle principali specie ittiche allevate.