L’agrobiodiversità, il patrimonio di risorse genetiche per l’agricoltura e l’alimentazione, è l’eredità di 10 mila anni di agricoltura, che va preservata, caratterizzata, studiata dal punto di vista genetico e resa disponibile, affinché i tratti di cui è portatrice vengano utilizzati e introdotti in nuove varietà innovative. Rappresenta, infatti, la ricchezza più importante per garantire la sicurezza alimentare globale negli anni a venire. La crisi climatica ci pone di fronte alla sfida epocale di ridurre gli input nel sistema agricolo, ma allo stesso tempo di produrre di più per far fronte alla crescita della popolazione mondiale. L’enorme capitale genetico custodito nelle banche di germoplasma di tutto il pianeta sarà essenziale per perseguire questi obiettivi.
Biodiversità e agrobiodiversità: cosa sono?
La consapevolezza dell’importanza delle risorse genetiche in agricoltura è stata messa in evidenza per la prima volta dal genetista russo Nickolaj Vavilov all’inizio del secolo scorso. Oggi il dibattito è incentrato più sul loro contributo alla biodiversità in generale. Ad esempio, non è raro leggere frasi: “coltiviamo i grani antichi per aumentare la biodiversità”. Per evitare confusioni è stato coniato un nuovo termine per indicare il patrimonio di risorse genetiche per l’agricoltura e l’alimentazione: agrobiodiversità. Vediamo innanzitutto di definire questi due concetti e di contestualizzarli.
La biodiversità, o diversità biologica, è data dalla ricchezza di forme viventi sul pianeta. Semplificando, possiamo immaginare la biodiversità ripartita su tre livelli:
- la diversità degli ecosistemi (es tundra, macchia mediterranea, foresta pluviale etc);
- la diversità di specie (es. numero) in un determinato ecosistema;
- la diversità di forme (alleli) all’interno di una specie (diversità genetica).
Sul pianeta ad oggi sono state censite circa 2 milioni di specie. La stima sul numero reale di specie è variabile, quella più accreditata ne attesta tra gli 8-10 milioni. L’uomo coltiva oggi circa 200 specie e circa il 90% del fabbisogno umano è soddisfatto da circa 100 specie. Quattro specie (riso, grano, mais e patata) forniscono da sole circa il 60% delle calorie per l’alimentazione umana. Inoltre, il processo che ha portato dalle forme selvatiche alle attuali specie coltivate (domesticazione e selezione) ha ridotto enormemente la diversità genetica delle specie coltivate. La FAO stima che il 75% della diversità genetica delle specie agrarie sia andata persa durante i millenni di agricoltura. In effetti è facile intuire questo processo. L’uomo fin dagli albori dell’agricoltura ha praticato miglioramento genetico. La domesticazione altro non è stata che selezione genetica più o meno inconsapevole. L’agricoltura, infatti, nasce con il miglioramento genetico. Prima l’uomo ha selezionato le piante adatte alla coltivazione (domesticazione) e dopo, e soltanto dopo, è arrivata la tecnologia agricola (dalla zappa, alla falce, all’aratro fino ai trattori, alle mietitrebbie e all’agricoltura digitale). In questi 10 mila anni di agricoltura, quando veniva individuato un genotipo migliore rispetto ai precedenti, questi venivano abbandonati e i loro alleli (geni) definitivamente persi. È stato Vavilov a intuire l’importanza di preservare tutta la diversità genetica delle specie coltivate, per ridurre quella che oggi viene chiamata erosione genetica. Nei suoi viaggi intorno al mondo raccolse genotipi di quasi tutte le specie coltivate, con cui costituì la prima banca di germoplasma. Oltre alle specie agrarie fanno parte dell’agrobiodiversità anche gli organismi utili all’agricoltura come, ad esempio, la fauna utile (es insetti pronubi o antagonisti dei parassiti) e la flora microbica del suolo.
Da questa breve disamina si intuisce che la diversità agraria o agrobiodiversità e la biodiversità non sono la stessa cosa. La prima rappresenta un sottoinsieme piccolissimo della seconda, una goccia nell’oceano.
Cionondimeno, l’agrobiodiversità, benché una goccia nell’oceano, rappresenta una risorsa di fondamentale importanza per l’umanità; è il lascito, di 10 mila anni di agricoltura. Un’eredità che va preservata, caratterizzata, catalogata, studiata dal punto di vista genetico, scambiata e sfruttata. Il suo utilizzo però non deve essere inteso dal punto di vista commerciale, come prodotti da trovare sugli scaffali dei supermercati o dei fruttivendoli. L’agrobiodiversità va tutelata e resa disponibile principalmente ai professionisti, ai breeder (i selezionatori), affinché utilizzino i tratti genetici di cui è portatrice per introdurli in nuove varietà innovative. Essa rappresenta, infatti, il patrimonio più importante per garantire la sicurezza alimentare globale negli anni a venire. La crisi climatica ci pone di fronte a una sfida epocale, di non facile soluzione. Da un lato dobbiamo ridurre gli input nel sistema agricolo, ma nello stesso la popolazione mondiale in crescita ci impone di produrre di più. Produrre di più con meno: un’equazione difficile da risolvere. L’enorme capitale genetico custodito nelle banche di germoplasma di tutto il pianeta sarà di fondamentale importanza per perseguire questi obiettivi. A patto che queste non vengano solo conservate, ma che siano anche caratterizzate dal punto di vista genetico, sia fenotipico (con le moderne piattaforme di fenotipizzazione che consentono di acquisire dati in maniera rapida e massiva) sia genotipico, utilizzando le nuove piattaforme genomiche che consentono di analizzare l’intero genoma con milioni di marcatori molecolari (es. Single Nucleotide Polymorphism, SNP).
Il genotipo di un individuo è dato dal suo corredo genetico, è ciò che è “scritto” nel DNA contenuto nel nucleo di tutte le sue cellule ed è quindi immutabile. Il fenotipo, invece, è l’insieme dei caratteri che l’individuo manifesta: dipende dal suo genotipo, dalle interazioni fra geni e anche da fattori esterni; dunque può variare.
Il fine ultimo della caratterizzazione genetica è quello di individuare i geni (alleli) che controllano caratteri importanti dal punto di vista agronomico come la resistenza a stress biotici e abiotici. Questi geni potranno essere poi utilizzati nel miglioramento genetico attraverso metodologie tradizionali (incrocio, selezione assistita da marcatori, Genomic selection) o mediante approcci biotecnologici come, ad esempio, le moderne Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA). Il miglioramento genetico rappresenta da 10 mila anni la via più sostenibile per risolvere i problemi legati al cibo: esso adatta le piante all’ambiente e non l’ambiente e queste.
Il programma RGV FAO per la conservazione, lo scambio e l’uso sostenibile dell’agrobidiversità italiana
L’Italia è impegnata da tempo nel reperimento, nella salvaguardia, nella caratterizzazione e nello scambio delle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Fin dalla ratifica del Trattato Internazionale FAO per le Risorse Genetiche Vegetali per l’Alimentazione e l’Agricoltura (ITPGRFA, International Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agricolture) con la legge del 6 aprile 2004, n. 101 il nostro Paese ha avviato un programma finanziato dal Mipaaf, denominato RGV FAO, per l’implementazione dell’art. 5 del Trattato, che detta le regole per la raccolta, la catalogazione, la conservazione, la caratterizzazione e lo scambio delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura. Oltre al CREA partecipano al programma anche il CNR e un’associazione di secondo livello, Rete Semi Rurali. Il Crea partecipa al programma con 29 strutture afferenti a dieci dei dodici centri CREA.
Nei 18 anni di attività il programma ha censito e conservato 257 specie coltivate per alimentazione umana e animale e 244 specie selvatiche affini alle piante coltivate (CWR, Crop Wild Relatives), Tabella 1. In totale sono conservate 42.414 accessioni come riportato in Tabella 2. Il programma ha inoltre, importanti connessioni con i network europei Eurisco, ECPGR, AEGIS.
Gruppi di specie coltivate | N. Specie | N. Crop Wild Relatives (CWR) |
Cereali | 6 | 45 |
Specie frutticole | 24 | 51 |
Olivo | 1 | – |
Vite | 1 | 21 |
Agrumi | 10 | 52 |
Legumi e colture ortive | 42 | 7 |
Colture industriali | 45 | 66 |
Colture ornamentali (a uso alimentare) | 9 | – |
Colture aromatiche e medicinali | 58 | – |
Colture foraggere | 52 | – |
Specie forestali (ad uso alimentare) | 11 | – |
Specie Totali | 259 | 242 |
Gruppi di specie conservate | N. accessioni conservate |
Cereali | 17484 |
Specie frutticole | 6879 |
Olivo | 847 |
Vite | 3688 |
Agrumi | 606 |
Legumi e colture ortive | 489 |
Colture industriali | 1405 |
Colture ornamentali (a uso alimentare) | 897 |
Colture aromatiche e medicinali | 87 |
Colture foraggere | 6288 |
Specie forestali (ad uso alimentare) | 3744 |
Accessioni Totali conservate | 42414 |
Un aspetto importante del programma è rappresentato dallo scambio di materiale con soggetti pubblici e privati. Negli anni di attività sono stati censiti circa 2200 ingressi di materiale genetico e sono stati inviati all’esterno 2800 accessioni.
Scambio delle risorse genetiche e delle informazioni a esse associate: problematiche.
Sullo scambio e sull’utilizzo delle risorse genetiche pesa il protocollo di Nagoya, siglato nell’omonima cittadina giapponese nell’ambito della Convention on Biological Diversity (CBD). Le regole di questo sono più stringenti di quelle previste dal Trattato FAO e, al contrario di questo che prevede un sistema multilaterale di scambio, il protocollo di Nagoya necessita di accordi bilaterali tra i singoli paesi che hanno contribuito alla creazione della risorsa genetica oggetto di scambio. Il protocollo consente anche, per le risorse genetiche per l’agricoltura e l’alimentazione, la possibilità per i singoli stati di applicare le regole del Trattato Internazionale FAO. Purtroppo, il nostro Paese ancora non ha ancora legiferato in tal senso.
L’applicazione delle stringenti regole del protocollo sulle risorse genetiche per l’agricoltura e l’alimentazione avrebbe conseguenze molto serie per la libera circolazione del materiale genetico con ripercussioni sulla sicurezza alimentare. Si pensi, ad esempio, allo scambio di accessioni alla cui costituzione hanno contribuito nel tempo numerose entità genetiche possedute da altrettante istituzioni internazionali. Lo scambio del materiale potrebbe avvenire solo dopo aver siglato accordi bilaterali (i cosiddetti PIC, Prior Informed Consent e MAT, Mutually Agreed Terms) con ognuna delle istituzioni coinvolte nella costituzione dei parentali dell’accessione oggetto di scambio, con tempi lunghissimi ed esiti non prevedibili. Questo porrebbe enormi ostacoli alla circolazione e alla disponibilità delle risorse genetiche.
Un altro aspetto messo in evidenza dal protocollo di Nagoya riguarda le sequenze genetiche relative alle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Per sequenze genetiche si intendono tutte quelle informazioni riguardanti un genotipo che possono essere conservate in forma digitale, quindi non solo sequenze di DNA, ma anche di RNA, di aminoacidi, informazioni epigenetiche, di metaboliti o fenotipiche in generale. Per tutte queste è stato coniato un termine provvisorio che non ha alcun riscontro nella letteratura scientifica: Digital Sequence Information (DSI). Sulle DSI sono in atto da anni trattative estenuanti nei vari fora internazionali in merito al loro utilizzo, all’accesso e alla condivisione dei benefici. Molto semplicemente alcuni Paesi vorrebbero equiparare le sequenze genetiche alla risorsa materiale (varietà, accessione) da cui queste derivano, assoggettando le sequenze genetiche alle regole per lo scambio delle risorse materiali. Le sequenze genetiche attualmente sono depositate in database pubblici aperti a tutti. Sono stati censiti circa 1700 database pubblici che custodiscono dati genetici di sequenza la cui consistenza (n. di basi depositate) raddoppia circa ogni 18 mesi. Pensare di limitare l’accesso a queste informazioni previ accordi bilaterali tra le singole parti o multilaterali, come ad esempio avviene per le risorse genetiche nell’ambito del Sistema Multilaterale (MLS) del Trattato FAO, sarebbe un danno all’acquisizione di nuova conoscenza, al progresso scientifico, all’innovazione e in ultima analisi alla sicurezza alimentare globale.
L’enorme crisi mondiale scatenata dall’attuale emergenza pandemica Covid-19 dovrebbe aver messo in evidenza l’importanza cruciale del libero accesso alle risorse genetiche. Senza il libero accesso alle informazioni genetiche non avremmo i vaccini e i tamponi oggi a disposizione contro Covid-19. Il libero accesso alle risorse genetiche e alle informazioni a esse associate (fisiche o digitali che siano) è importante per la salute umana, ma lo è altrettanto per il cibo. Senza innovazione in ambito agroalimentare e senza farmaci prontamente disponibili, l’umanità farebbe un enorme balzo indietro.
Si occupa di genetica molecolare delle piante arboree da frutto. Ha collaborato a numerosi progetti nazionali e internazionali coordinando il consorzio internazionale “The International Peach Genome Initiative” che ha ottenuto e pubblicato la sequenza del genoma del pesco e il programma RGV-FAO.
#lafrase
Non c’è futuro senza ricerca ma non c’è ricerca senza un’idea di futuro.