Dal contrasto al dissesto idrogeologico all’ampia presenza di biodiversità, dal turismo rurale al presidio territoriale, il castagno, grazie alla sua capacità di garantire diverse funzioni ecosistemiche, è stato un elemento fondamentale per la vita delle comunità locali. Tornare a valorizzare il castagno come risorsa agricola ed economica significa puntare su uno sviluppo sostenibile, che integri tradizione e innovazione.
Un po’ di Storia
Il castagno (Castanea sativa Mill.) è una specie che, nel corso dei secoli, ha segnato profondamente la storia agricola, economica e culturale di molte regioni italiane, soprattutto nelle aree rurali e montane. Grazie alla sua capacità di garantire diverse funzioni ecosistemiche, il castagno è stato un elemento fondamentale per la vita delle comunità locali.
Fino alla metà del XIX secolo, il sistema castagno (sistema agrosilvopastorale che integrava la gestione e la produzione con la cura e la salvaguardia del territorio) rappresentava la base della struttura produttiva rurale. Forniva beni di vitale importanza per l’economia e la sussistenza delle popolazioni come frutti, legname, possibilità di pascolo, prodotti secondari non legnosi quali funghi, miele, lettiera e terriccio. Allo stesso tempo, garantiva il mantenimento di altre utilità ecosistemiche, cioè di tutte quelle funzioni indispensabili alla salvaguardia del territorio, come la protezione idrogeologica, il drenaggio e la filtrazione delle acque, la regolazione del clima, la protezione del suolo e la salvaguardia del paesaggio.
Declino e rinascita della castanicoltura
Il rapporto di reciprocità tra uomo e castagno ha iniziato a incrinarsi nella seconda metà dell’Ottocento e si è quasi completamente interrotto dopo la Seconda guerra mondiale. Tra le cause principali vi sono le fitopatologie come il cancro corticale (Cryphonectria parasitica) e il mal dell’inchiostro (Phitophtora cambivora), le cui conseguenze hanno portato al progressivo abbandono della coltivazione, alla ceduazione o alla sostituzione con specie a rapido accrescimento.
I boschi di castagno, sia i cedui per la produzione di legno sia i castagneti da frutto, sono formazioni antropizzate, che richiedono una gestione attiva da parte dell’uomo per mantenere il sistema in equilibrio e funzionale. L’abbandono può avviare processi evolutivi, che riportano il bosco alle sue componenti naturali, riducendo la presenza di castagno. Nei cedui, può verificarsi il crollo di intere ceppaie a causa di instabilità meccanica, mentre nei castagneti da frutto i grossi castagni si indeboliscono e intere branche possono seccare.
Nell’ultimo ventennio del 1900, la castanicoltura ha vissuto una fase di stagnazione, con una ulteriore riduzione delle superfici coltivate e delle pratiche di gestione. Tuttavia, è proprio in questo periodo che è emersa una nuova consapevolezza ecologica (interesse per le tradizioni montane, i prodotti tipici e l’agricoltura sostenibile) e che la ricerca ha iniziato a sviluppare modelli colturali sostenibili e innovativi, più in linea con le esigenze della società.
Agli inizi del 2000, la comparsa del cinipide galligeno (Dryocosmus kuriphilus), specie aliena che provoca galle su foglie, infiorescenze e germogli, ha nuovamente compromesso il sistema castagno, riducendo la produzione di frutti e l’accrescimento legnoso. Per cercare di risolvere questa nuova emergenza, il Ministero dell’Agricoltura istituì nel 2011 un tavolo tecnico nazionale riunendo ricercatori, esperti, istituzioni e produttori per affrontare e tentare di risolvere in modo sinergico i problemi della castanicoltura. In questi ultimi 25 anni la ricerca ha messo a punto modalità tecniche innovative e sostenibili per la gestione e la valorizzazione dei castagneti da frutto e da legno.

Innovazione e sostenibilità nella gestione
Nei castagneti da frutto, il raggiungimento degli obiettivi di aumento della produttività e riduzione dei costi si può ottenere intervenendo su tutta la filiera, dalle cure colturali fino alla raccolta, trasformazione e commercializzazione dei frutti. Assumono un ruolo fondamentale il miglioramento delle tecniche colturali, l’introduzione di elementi di innovazione, la possibilità di avere portainnesti selezionati e la capacità di coniugare le scelte colturali con le caratteristiche dell’azienda. Le pratiche di potatura (più o meno frequenti in funzione dell’intensità colturale scelta) rappresentano uno dei principali fattori della produzione, mentre lo smaltimento dei materiali di risulta delle potature, se trinciato e lasciato in loco, può contribuire a migliorare la fertilità stazionale in aggiunta a concimazioni e compostaggio di sfalci, ricciaie e ramaglia.

Per quanto riguarda la produzione legnosa, la gestione dei cedui di castagno richiede approcci selvicolturali differenziati, che considerano le caratteristiche stazionali, la composizione specifica e le peculiarità della proprietà. Il ceduo di castagno rappresenta una forma di gestione particolarmente adatta a garantire una varietà di prodotti legnosi (dalla paleria, al trave, al legno da opera) e funzioni ecosistemiche. È fondamentale, però, superare le tecniche di gestione semplificate in favore di approcci più complessi, che rispondano meglio alle esigenze ecologiche ed economiche. Le varie alternative sono riconducibili a opzioni selvicolturali, che prevedono il mantenimento della gestione dei cedui a turno breve (da 12 a 25 anni), e l’allungamento del turno (fino a 50-60 anni), programmando precoci, frequenti e regolari interventi di diradamento.
In conclusione, una gestione integrata e diversificata dei castagneti, da frutto e da legno, può svolgere un ruolo cruciale nel sostenere le comunità rurali, generando reddito, preservando l’ambiente e rafforzando l’identità culturale dei territori. Tuttavia, un ostacolo significativo è la disconnessione tra le pratiche di gestione sviluppate dalla ricerca e le normative vigenti, che spesso ne impediscono l’applicazione. Per valorizzare appieno la castanicoltura, è quindi essenziale allineare le azioni colturali con politiche adeguate, promuovendo una gestione sostenibile e migliorando la competitività sui mercati nazionali e internazionali.


Ricercatrice Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Centro di ricerca Foresta e legno
Laurea in economia e commercio, è Dirigente di ricerca al CREA-Politiche e Bioeconomia. I principali ambiti di ricerca riguardano il sistema agroalimentare italiano, la sostenibilità dell’agricoltura, la struttura dell’industria alimentare e lo studio della filiera del vino. È responsabile dell’Annuario dell’agricoltura italiana. È docente presso il corso di Scienze e culture enogastronomiche dell’Università di Roma Tre.
#lafrase Amo gli alberi. Sono come noi. Radici per terra e testa verso il cielo. (Erri De Luca)