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La sostenibilità in agricoltura passa anche per la difesa delle produzioni agricole: il caso Halyomorpha halys

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Come far fronte al problema della cimice asiatica senza far ricorso alla chimica?  Oltre alle sperimentazioni con microrganismi che inibiscono lo sviluppo o che interferiscono con i processi di nutrizione della cimice, grande attenzione è data alla lotta biologica effettuata dall’antagonista naturale, la vespa samurai, che attacca le uova della cimice. Il ricorso ad organismi utili per il contrasto delle avversità delle piante permette, una volta accertata la loro sicurezza ambientale mediante studi condotti ad hoc, di ottenere prodotti più sostenibili per l’ambiente e per la nutrizione in generale e utilizzando sempre meno molecole chimiche di sintesi

Sin dai tempi più remoti della civiltà umana, la circolazione di persone e merce di vario tipo (es. piante e/o prodotti agricoli) ha comportato anche l’introduzione in nuovi areali di organismi nocivi. Eventi che sono andati intensificandosi in via esponenziale soprattutto nell’ultimo secolo, con l’intensificarsi degli scambi commerciali a livello planetario. Nei nuovi ambienti, tali organismi possono insediarsi e moltiplicarsi a dismisura, non trovando a volte efficaci nemici naturali co-evoluti, che ne limiterebbero invece le esplosioni demografiche. Sono molteplici gli esempi che si possono trarre, uno dei più recenti è la diffusione della cimice asiatica marmorizzata (Halyomorpha halys) originaria dell’Estremo Oriente. La cimice asiatica si è diffusa in maniera accidentale nel continente americano e in Europa, dove le prime segnalazioni dei danni alle colture sono del 2012 nei pereti dell’Emilia-Romagna. La cimice asiatica causa un ingente danno al comparto agricolo in quanto, per nutrirsi, punge con gli stiletti boccali i frutti (anche semi) che tendono a deformarsi, necrotizzarsi o deteriorarsi o vanno incontro a fenomeni di marcescenza (soprattutto nella fase di conservazione in cella frigorifera). I danni a volte possono essere notevoli per l’agricoltura italiana, anche nell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro all’anno. La cimice asiatica, infatti, si nutre di centinaia di piante diverse, colpisce la frutta di ogni tipo e ortaggi, ma anche semi come mais, soia e nocciole.

Fig. 1 – Mela con dani causati dalle punture della Cimice asiatica

Nel tentativo di controllare la cimice asiatica e contenerla a livelli non dannosi, ci si affida a livello globale all’uso dei prodotti chimici che non solo presentano molti limiti e criticità , ma non forniscono neppure, un controllo efficace soddisfacente, sia per effetto della elevata mobilità della cimice (difficoltà di intervenire nel momento giusto e nel posto giusto), sia per la sua elevata polifagia (nutrendosi di oltre 300 specie diverse di piante) e nemmeno trovano, infine, una applicazione sostenibile nel medio e lungo periodo, comportando la necessità di intervenire con molteplici prodotti e con uno smisurato numero di trattamenti.

Un tale approccio, nonostante lo sviluppo di strategie volte a ridurre i quantitativi di insetticidi applicati di volta in volta per la difesa delle colture, porta a prodotti che non possono soddisfare i disciplinari di produzione integrata e biologica, ovvero non sostenibili per definizione. Diverse esperienze sperimentali hanno messo a punto approcci più “environment and consumer-friendly”, come ad esempio le reti anti-insetto ad esclusione totale della cimice, ma trattasi di misure applicabili in particolare contesti produttivi di pregio e solo su alcune tipologie di coltivazione. La problematica della cimice e l’insostenibilità dei mezzi di controllo messi in atti fino ad ora, ha portato alla stringente necessità di individuare soluzioni alternative. La lotta biologica viene prontamente in aiuto su questo tema, ma il concetto nasconde dietro di sé  un universo complesso di elementi, che devono essere attentamente considerati per il raggiungimento dell’obiettivo di sostenibilità. Su questo fronte, la ricerca scientifica ha accettato la sfida per trovare una soluzione al problema che sia efficace e sostenibile, non necessariamente univoca , ma che anzi si articoli in approcci integrati attualmente sotto la lente di ingrandimento. Su questo fronte, oltre alle sperimentazioni con microrganismi entomopatogeni, sostanze inibitrici cioè dello sviluppo o che interferiscono con i processi di nutrizione della cimice, rilevante attenzione è stata posta ai parassitoidi, ovvero organismi appartenenti per lo più alla classe degli insetti e che sfruttano l’ospite in vario modo per il proprio sviluppo. Più nello specifico, l’interesse è ricaduto sulla categoria degli ooparassitoidi, ovvero parassitoidi che attaccano le uova della cimice. Negli ooparassitoidi, la femmina depone le proprie uova all’interno delle uova di un altro organismo (definito “ospite”), al quale interno si svolge tutta la fase di sviluppo giovanile della progenie, aspetto che di fatto determina la morte delle uova della cimice. Diversi studi hanno riguardato organismi autoctoni, in particolare Anastatus bifasciatus ed Ooencyrtus telenomicida, ma altri studi hanno cercato di individuare altri organismi utili ancora, senza però mettere in evidenza specie di particolare interesse. Sfortunatamente in prove sperimentali con specie autoctone, non sono stati ottenuti risultati incoraggianti nella prospettiva di un controllo efficace. Pertanto, le attenzioni sono state tutte rivolte verso l’approccio della lotta biologica classica, quindi su ooparassitoidi originari dello stesso areale d’origine della cimice. Tra queste specie, emerge per importanza l’imenottero Trissolcus japonicus, in qualità di migliore candidato per programmi applicativi su scala nazionale. Una serie di fattori supportano la scelta verso questa specie, ovvero: 1) rappresenta il principale fattore di limitazione di H. halys nel Paese di origine; 2) può raggiungere il 70-80-90% di parassitizzazione delle ovature di H. halys; 3) colpisce in media nell’arco della intera stagione il 50% circa delle uova; 4) possiede la capacità di un elevato sfruttamento delle uova/ovatura della cimice (anche del 100%). Purtroppo, come unico aspetto negativo è il fatto che non è una specie specifica della cimice, ma può svilupparsi a spese di un gruppo ristretto di altri pentatomidi (ossia una particolare famiglia di insetti); tuttavia, mostra una rilevante preferenza verso H. halys a discapito delle altre specie che, invece, apparentemente vengono colpite solo in maniera occasionale.

L’obiettivo della lotta biologica è quello di raggiungere un nuovo equilibrio naturale stabile nel tempo, negli ambienti dove la cimice causa i danni più rilevanti. Tuttavia, elemento fondamentale e non trascurabile è il tempo, ovvero serve tempo affinché venga raggiunto l’equilibrio tra le popolazioni della cimice e del suo antagonista naturale. Si tratterà sempre di un equilibrio in continua evoluzione, con oscillazioni dell’uno e dell’altro organismo, in cui, però, gli effetti negativi dell’organismo dannoso dovrebbero risultare mitigati, se non annullati.

Il ricorso ad organismi utili per il contrasto delle avversità delle piante permette, una volta accertata la loro sicurezza ambientale mediante studi condotti ad hoc, di ottenere prodotti più sostenibili per l’ambiente e per la nutrizione in generale e utilizzando sempre meno molecole chimiche di sintesi.

Fig. 2 – Femmine di Vespa samurai mentre attaccano le uova della Cimice.

Il contributo del CREA

Il CREA Difesa e Certificazione, in qualità di Istituto Nazionale di Riferimento per la Protezione delle Piante, ha redatto e sta coordinando il Piano Nazionale 2021 di “Controllo Biologico della Cimice asiatica mediante la liberazione del suo Antagonista, la piccola Vespa samurai, nome scientifico Trissolcus japonicus” per contenere questo pericoloso insetto alieno, che continua ad arrecare danni alla frutticoltura di gran parte del Centro Nord (nel 2019, in alcune aree d’Italia sono stati persi oltre il 70% del raccolto con un costo di circa 600 milioni di euro). Le azioni di contenimento si basano sulla lotta biologica alla cimice asiatica, mediante il rilascio controllato di vespe samurai, il suo antagonista naturale. In questo modo viene evitato l’uso di insetticidi di sintesi ed aumentando la resilienza dei sistemi agricoli colpiti da questa avversità. Il Piano interesserà 5 regioni, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna e le due province autonome di Trento e Bolzano.

A cura di Micaela Conterio

Giuseppino Sabbatini

Entomologo, ricercatore in difesa fitosanitaria delle piante

Pio Federico Roversi

Entomologo, ricercatore in difesa fitosanitaria delle piante

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