Ripercorriamo attraverso i millenni, le religioni, i continenti, le culture e i popoli la relazione speciale tra uomo e albero.
Pablo Neruda una volta scrisse che “Il bosco risuona e tace, tace quando ascolto, risuona quando mi addormento” (Memoriale di Isla Negra, 1964). Il rapporto che intercorre da sempre fra l’Uomo e la Natura è uno scambio, un perenne alternarsi dell’esercizio del dominio dove la forza dell’uno, i simboli, e dell’altra, gli elementi, si confrontano. Così le civiltà si sono susseguite, scomparendo, mescolandosi o dividendosi, ma sempre lasciando traccia del loro passaggio, grazie ad alcuni topoi (motivi ricorrenti) che le attraversano tutte, diventando elementi costitutivi della realtà umana. Uno fra i più noti è l’albero. Un organismo vivente che, nel racconto degli antenati, oltre ad essere legno, radici e foglie era prima un Dio, poi un uomo e finalmente simbolo del legame antico ed indissolubile che lo lega alla natura e al soprannaturale. Tutte le culture, infatti, hanno dedicato all’albero miti, leggende, riti ed immaginari: ancorato alla terra grazie alle sue radici, ma con i rami rivolti verso l’alto, rappresenta l’immagine dell’Uomo diviso fra due mondi, quello Ctonio “di sotto” e quello Uranico “di sopra”, posizionandosi di fatto al centro della creazione come mediatore fra questi due mondi. È l’asse del mondo, l’axis mundi, una saldissima linea verticale da cui si dipana l’Universo. L’albero Maestro, dunque, dove il concetto post- industriale di albero motore fa un balzo all’indietro e si riconnette al significato arcaico del maestro della diversità culturale. Basti pensare a Dioniso, il dio nuovo legato alla linfa ed alla vegetazione, rappresentato come un palo a cui sono appesi dei pampini d’uva. Quando prenderà una sembianza umana, la sua maschera sarà rappresentata sui vasi attici di fronte e non di profilo, unico esempio non casuale per sottolinearne la potenza e la straordinarietà della sua natura.
E proprio come in una foresta, dove i rami e le fronde si intrecciano fino a non poter più distinguere dove questi iniziano o finiscono, così nel racconto culturale, la pianta si trasforma in una casa, un dio, un uomo, pur mantenendo la sua identità arborea.

L’esempio più famoso è sicuramente Yggdrasill, il Frassino del mondo, dimora del dio Odino e centro del Cosmo che, grazie alla sua linfa vitale, si rigenerava continuamente. Nella mitologia greca, questa stessa pianta era consacrata a Poseidone, il dio del mare, perché il suo nome arcaico era Potidáon, “quello che dà da bere al monte alberato”, dal verbo greco potizo, dare da bere, e ida, monte alberato. Plutarco ci ricorda, infatti, che Poseidone è “colui che possiede la Terra” e continua ad esserne il signore anche quando ormai ha affondato le sue radici nell’acqua, restando la divinità capace di governare i terremoti. Terra e acqua, gli elementi che costituiscono la capacità di sopravvivenza dell’uomo/albero, sono quindi legati ad una divinità dendrite (arborea) nel racconto dei mitografi Greci e di quelli Babilonesi prima di loro, quando il mondo non era che un’immensa tavola poggiata sulle acque.
Nello Yucatan, i Maya veneravano Ceiba, l’albero che cresce al centro del mondo e che, con la sua linfa rossa, aiuta le anime dei morti a raggiungere l’Aldilà e per questo le sue fronde erano considerate curative. In Egitto, la dea Hator era solita preparare una bevanda con i frutti del suo albero sacro, il sicomoro. Quest’ultimo è citato per otto volte nella Bibbia ed è la pianta su cui si arrampica Zaccheo per vedere meglio Gesù (Luca 19,3-4). Per questo, scendere dal Sicomoro, nell’immaginario popolare, rappresentava il coraggio dell’uomo di lasciare il noto per l’ignoto.

Gli alberi Maestri continuano ad inseguirsi a tutte le latitudini, in Cina sono il gelso ed il pesco, presso i Druidi Celtici è la quercia consacrata al dio del tuono che, in Grecia, si trasforma nell’albero sacro a Zeus, fino alla bodhi (Ficus Religiosa)- l’albero sotto il quale Buddha ebbe l’illuminazione – e l’albero della tradizione Islamica, quello sulle cui foglie sono scritti i nomi di tutti gli uomini e che Israfil, l’angelo della Morte, raccoglie quando cadono a terra chiamando così quelli che, per volere di Allah, sono destinati a morire. Nell’iconografia cristiana l’albero della conoscenza è il simbolo per eccellenza della vita e, in alcune leggende, è dal suo legno che fu fabbricata la croce. Anche Maria è spesso rappresentata come un “albero della vita” e i templi arcaici del suo culto talvolta si trovavano vicino ad alberi considerati sacri. Anche alcuni dei suoi nomi ricalcavano questo processo: Maria delle tre querce, Maria la Verde, Maria dei Tigli etc. In tutto l’Occidente cristiano fiorirono leggende su alberi, rami o verghe ormai secche che, per virtù divina, rinverdiscono miracolosamente. Lo stesso Giuseppe divenne lo sposo di Maria perché fu l’unico in grado di far germogliare il suo bastone.

Il processo di significazione che contraddistingue la storia dell’uomo e dell’albero, cioè quel movimento dinamico dell’intelletto che fa “unire tutti i puntini” per dare forma a quello che sarà il destino di entrambi, è quello che il grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss chiamava il pensiero selvaggio: la capacità innata di orientarsi seguendo solo piccoli segni. Ed è proprio attraverso questo processo che le sorti dell’uomo e dell’albero potranno tornare al centro del dibattito, sistemandosi in modo di ridefinire i loro ruoli all’interno della Natura e del mondo contemporaneo, non per nulla la radice della parola “selvaggio” è proprio silva, foresta.
Bibliografia
Brosse J. “Mythologie des arbres”, Payot, 2001
Bronzini G.B. “Uomo e albero un rapporto antropologico antico e costante” Lares, Vol. 65, n.4 (Ottobre-Dicembre 1999), pp.325-336

Tecnologa CREA Centro Agricoltura e Ambiente
Language content editor, Antropologa culturale, lettrice e traduttrice
#lafrase Sono il luogo in cui è accaduto qualcosa (Claude Levi-Strauss)