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venerdì, 30 Maggio 2025

Piccolo atlante delle curiosità dei boschi d’Italia 

Della stessa Rubrica

Un breve viaggio alla scoperta delle piante e dei piccoli animali più particolari che popolano i boschi italiani e del loro ruolo nel favorire la vita di questo habitat straordinario e la salute dei suoli.  Dagli arbusti ai piccoli mammiferi che vivono nei faggeti appenninici, la vita di queste creature è strettamente legata al suolo ed all’influenza che questo esercita su tutto l’ecosistema. 

Campo di lava a’a’ emessa agli inizi del 1700, colonizzato dal lichene Stereocaulon vesuvianum e da piante isolate e boschetti di Genista aetnensis da diffusione naturale. Vulcano Etna, nei pressi del Monte Serra Pizzuta Calvarina.

Sicilia: La ginestra dell’Etna (Genista aetnesis)  

E’ un arbusto che si è differenziato sui suoli granitici della Sardegna, ma che ha trovato un ottimo habitat sui suoli vulcanici etnei. A oggi, infatti, vive solo sul vulcano Etna, in Sardegna e in piccole aree della Corsica. Per quanto diffusasi naturalmente dalla Sardegna all’Etna, la Genista è stata anche diffusa dall’uomo per la sua capacità di adattarsi a suoli difficili e perché molto apprezzata per il suo carbone compatto. Per questo motivo, sull’Etna erano stati costituiti boschi cedui a sua quasi totale presenza. La diffusione antropica ha riguardato i versanti etnei, ma anche quelli del Vesuvio e dei Monti Peloritani, in questo caso su suoli derivanti soprattutto da graniti e filladi. Sull’Etna la Genista si comporta da pianta pioniera essendo la prima pianta a insediarsi nei campi di lava cosiddetta a’a’ (pronuncia ah-ah) anche ad altitudini di 1700-1800 metri, arrivando a volte anche prima dei licheni Stereocaulon vesuvianum e Xanthoria parietina, tipici della lava scomposta. La ginestra dell’Etna accelera la pedogenesi dei substrati difficili, dove lo sviluppo del suolo sarebbe altrimenti molto lento, perchè produce un’elevata quantità di cascami che formano lettiere in grado di mantenere l’umidità del suolo, favorendo l’insediamento di altri vegetali, spesso graminacee, e funghi. Inoltre, le radici emettono sostanze che favoriscono specie batteriche capaci di sintetizzare acido teicoico, un polimero (cioè una macromolecola n.d.r.) fatto di unità zuccherine e gruppi fosfatici che rallenta la perdita di fosforo dal suolo; una strategia che risulta vincente proprio nei suoli più poveri. Sui versanti lavici essa svolge anche il ruolo di stabilizzatrice in quanto approfondisce le proprie radici anche fino a 4-5 metri. In un ambiente ostile come quello dei campi di lava a’a’, offre riparo e rifugio a molti uccelli o piccoli mammiferi. Nonostante l’habitat molto ristretto e i benefici apportati, la Genista non è tutelata, ma è specie protetta nel Parco Nazionale del Vesuvio e in alcune zone di interesse comunitario (ZIC) e zone speciali di conservazione (ZSC).

Tunnel dell’arvicola rossastra con rete di ragno. Faggeta nei pressi di Terminillo, Monte Terminillo.

Appennino: i boschi di faggio (Fagus sylvatica) 

Favoriscono una buona biodiversità: nei boschi più fertili, ad altitudini di 1000-1200 metri (quindi con climi non troppo rigidi), la produzione di cascami è elevata e nelle aree semi-pianeggianti si formano spessori di lettiera anche di 30-35 centimetri. In queste situazioni si insedia l’arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus) – un piccolo mammifero roditore della famiglia dei cricetidi -, che scava tunnel al contatto tra il suolo minerale e la lettiera, dove passa l’intera stagione invernale per proteggersi dal freddo. Dentro a questi tunnel vivono ragni che tessono tele di traverso al tunnel così da catturare quei moscerini che sfarfallano nella lettiera e che passano una parte o l’intera vita nelle gallerie dell’arvicola. La scomparsa o la riduzione dello spessore di lettiera per cause diverse (asportazione, riduzione della fertilità del suolo, erosione) porterebbe alla scomparsa dell’habitat sia dell’arvicola sia dei ragni e dei ditteri che vivono nelle gallerie.

Lariceto (Larix decidua) con alberi nani su ghiaione consolidato. Valgrisanche, Valle d’Aosta. Le piante nane hanno la stessa età di quelle più sviluppare (circa 60 anni) ma si trovano in aree raffreddate dall’effetto camino.

Valle d’Aosta: le foreste nane  

In alcune parti del mondo ci sono foreste nane, vale a dire popolate da piante (solitamente conifere) anche di 100 anni, ma che sono alte un metro o poco più. La causa più frequente di questa condizione sono le basse temperature del suolo, solitamente dovute alla presenza entro i 30-40 centimetri di profondità del permafrost, lo strato di suolo permanentemente ghiacciato. Curiosa è la condizione degli abeti neri (Picea mariana) dell’Alaska, con piante centenarie alte anche meno di un metro quando il permafrost è a 20-30 centimetri di profondità.  

In Italia abbiamo piccoli appezzamenti di foreste nane, in particolare sulle Alpi occidentali tra Valle d’Aosta, Francia e Svizzera, la cui nanizzazione si verifica a causa della anomala presenza di permafrost discontinuo per il verificarsi di un fenomeno noto come “effetto camino”.  Il fenomeno rappresenta una anomalia termica con formazione di lenti di ghiaccio e permafrost nella parte più bassa delle pendenze quando costituite da lunghi ghiaioni e pietraie montane. Il fenomeno è regolato dal contrasto termico dell’aria del suolo e quella atmosferica: in inverno, l’aria del suolo, più calda, risale verso la parte superiore del ghiaione, determinando un’aspirazione di aria esterna fredda nella parte inferiore del ghiaione stesso; in estate, l’aria fredda e più densa immagazzinata durante l’inverno nello strato di massi, scivola ai piedi del pendio pur rimanendo all’interno del suolo, raffreddando così la base del ghiaione. La discesa dell’aria fredda genera un’aspirazione di aria esterna più calda nella zona superiore del ghiaione. L’effetto camino porta così al riscaldamento della parte superiore del ghiaione in inverno, mentre la zona inferiore è costantemente raffreddata durante tutto l’anno. Il suolo più freddo determina una crescita rallentata degli alberi nella zona bassa del versante. 

Tratto della muraglia di difesa militare presso Passo Brocon, catena dei Lagorai, comune di Castello Tesino.

Trentino: i pascoli del Lagorai 

I pascoli della catena dei Lagorai (Trentino) sono floridi perché hanno subito un’opera di spietramento intorno alla metà del 1700 finanziata dalla Repubblica di Venezia. Trattandosi di zone periferiche della Serenissima Repubblica, il governo dell’epoca decise di andare incontro alla popolazione locale finanziando una ingentissima opera di ampliamento e miglioramento dei pascoli. Decine di ettari di bosco furono quindi sottoposti a taglio raso e il suolo spietrato fino a una profondità di 20-25 centimetri per favorire l’attecchimento della flora spontanea. A Passo Brocon (comune di Castello Tesino), con l’enorme quantità di pietre ottenute (di roccia calcarea della varietà tabulare, cioè che si presenta in forma di lastre) furono costruite strade, ma anche una sorta di muraglia militare lunga circa 150 metri, con garitta ancora oggi presente, edificata in un punto strategico per ostacolare la campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte. Benché l’intento militare non sia stato raggiunto (come è noto la campagna d’Italia degli ultimi anni del 1700 sancì la fine della Repubblica di Venezia), l’opera di spietramento permise il consolidamento della popolazione sul territorio con lo sviluppo di allevamenti per la produzione di latte e carne che ancora resistono grazie alla produttività di pascoli e prato-pascoli. La muraglia, ancora relativamente ben conservata, oggi si trova immersa nel bosco, ai lati di un pascolo di ottima produttività grazie allo spietramento di oltre 250 anni fa. Un aspetto curioso è che, a profondità di oltre 40 centimetri, molti suoli a pascolo contengono frammenti di carbone di radici di larice e abete che testimoniano fuochi diffusi risalenti a circa 3000 anni fa. È quindi possibile che molti pascoli della zona siano stati costituiti a quell’epoca, mediante taglio raso e debbio. Il debbio è un’antica pratica che consiste nella combustione in campo delle fronde e delle parti legnose più piccole degli alberi tagliati al fine di migliorare la fertilità chimica del suolo grazie alla cenere; la combustione delle ceppaie è la responsabile della formazione di carbone oltre i 30-40 centimetri di profondità.  

Giuseppe Corti
Direttore CREA Agricoltura e Ambiente

#lafrase Fatti non foste a viver come bruti (Dante)

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