Centinaia di volumi e migliaia di articoli in tutte le lingue testimoniano cosa ha significato nei secoli la rosa per poeti, artisti, botanici, paesaggisti, ricercatori da laboratorio e cacciatori di piante, fortunati e pazienti ibridatori, vivaisti sparsi per il mondo e una folla di appassionati giardinieri, ma cosa rappresenta oggi alla luce dei progressi scientifici, dei cambiamenti climatici, economico-sociali e in generale dei mutati stili di vita dell’uomo?
L’autore & il CREA
Maria Eva Giorgioni, docente ordinaria di Floricoltura presso l’Università di Bologna, è membro del gruppo di lavoro sulle collezioni vegetali specializzate della SOI (Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana) e della International Rose Society (I.R.S.). Autrice di oltre 90 pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali, ha inoltre scritto una monografia dedicata alle rose antiche.
La rosa oggi
È ancora la pianta ornamentale più coltivata nel mondo, la più importante per steli recisi prodotti, superfici investite e, pertanto, per interesse economico, risultando, inoltre, punto di riferimento per l’analisi dell’andamento dei mercati dei fiori recisi a livello internazionale. La sua domanda, infatti, riflette la situazione economica e sociale di un Paese e risente di shock economici e di tensioni geopolitiche, come è accaduto per la pandemia da Covid, la Brexit e per l’attuale conflitto militare che coinvolge la Russia, uno dei principali consumatori del prodotto coltivato in Ecuador e Colombia; lo testimoniano le statistiche fornite dall’olandese Floridata e dall’Associazione olandese dei grossisti importatori ed esportatori di prodotti floricoli (Vereniging van Groothandelaren in Bloemkweke–VGB).
D’altra parte, le grandi coltivazioni semi-intensive nei Paesi Terzi, come quelle a Naivasha, in Kenya, a 150 km a nord di Nairobi, stanno causando un forte impatto sociale sulle popolazioni locali così come sull’ambiente: l’acqua del grande lago, che è in diminuzione per volume, fa registrare un preoccupante aumento del contenuto di sali e pesticidi, a cui va aggiunto l’impatto ambientale del carburante necessario per trasportare i fiori dal Kenya all’Europa.
Non sorprende che si stiano moltiplicando negli USA e in Europa, Italia compresa, piccole farm in linea con il movimento Slow Flower, che seguono metodi di coltivazione ecosostenibili, dando valore al naturale e allo spontaneo. Qui le rose non sono la specie principale, ma non possono mancare e vengono coltivate all’aperto, seguendo il ciclo stagionale naturale, come si potrebbe fare, e si faceva un tempo, nel giardino e nell’orto-giardino. Ma anche per questo impiego è fondamentale la scelta di cultivar adatte alla coltivazione all’aperto, rifiorenti, resistenti ai patogeni, profumate e con una lunga durata dello stelo in vaso.
Il miglioramento genetico
Un altro punto di forza di questa pianta è Il miglioramento genetico, rivoluzionato negli ultimi anni dalla genomica, che non solo ha permesso di studiare la ‘domesticazione’ delle rose nel tempo e di riconsiderare la classificazione botanica delle specie, ma anche di accelerare la selezione di nuovi ibridi. La rosa è l’unico genere ornamentale, di cui è stata pressoché completata la mappatura genetica e sono stati individuati i meccanismi molecolari e genetici che governano la fioritura ricorrente, il colore dei fiori, il profumo e la resistenza a patogeni come peronospora, ticchiolatura, oidio e cercospora, cause primarie di una manutenzione ad alto costo, di un elevato impiego di fitofarmaci e in generale di insuccessi durante la coltivazione sia a livello industriale che hobbistico. Dall’ibridazione alla messa in commercio di una nuova cultivar passano non meno di 10 anni, necessari soprattutto per selezionare gli ibridi migliori.
Una sperimentazione condotta presso l’Università A&M del Texas ha evidenziato come la tecnologia possa dare una mano a velocizzare e rendere più economica la fase della fenotipizzazione in campo delle nuove varietà da giardino. L’uso di droni e l’analisi delle immagini ottenute con sensori digitali RGB ha permesso, infatti, di modellare la chioma delle piante, di quantificare l’entità della fioritura e di determinare la resistenza alle malattie mediante la stima della caduta delle foglie, causata da peronospora e ticchiolatura. Quanto lavoro risparmiato!
Fenotipizzazione
Identificazione di differenze nella crescita, biomassa, architettura, stato di salute tra diverse varietà vegetali in condizioni ottimali di crescita
Bella da concorso
Non vanno, però, sottovalutati altri requisiti estetici che possono variare in funzione del gusto, della cultura e della moda del momento, capaci di far leva sulle emozioni e rilevabili solo dalla visione diretta, sotto una calda luce estiva o il cielo grigio di una giornata piovosa. Per questo le valutazioni in campo, che permettono di considerare contemporaneamente più fattori morfo-fenologici in relazione a specifiche condizioni pedoclimatiche, al momento rimangono essenziali ed i concorsi internazionali per nuove varietà di rosa promossi dalla World Federation of Rose Societies sono essenziali e insostituibili. Lo sanno bene le grandi aziende d’ibridazione e gli ibridatori amatoriali che, ogni anno, inviano le loro novità ai vari concorsi affinché, dopo circa due anni di coltivazione, vengano valutate da una commissione costituita da esperti internazionali, vivaisti, paesaggisti, tecnici del verde, profumieri, esponenti di spicco dell’arte, della cultura, ma anche semplici appassionati di giardinaggio di ogni età, compresi bambini e studenti, che così possono indirizzare il settore vivaistico. La valutazione consiste nell’attribuire un punteggio per l’aspetto della pianta, il fiore, la rifiorenza e il profumo. Per il 2025 sono in calendario 25 concorsi, sparsi in tutti i continenti. L’Italia ospita due concorsi, il “Premio Roma”, istituito nel 1933 ed arrivato alla sua 82esima edizione, che si tiene presso il Roseto di Roma Capitale nel terzo sabato di maggio e, sempre a maggio, però a Faenza (RA), il più giovane UNIBO International New Rose Trials, organizzato dal DISTAL (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari) dell’Università di Bologna, sotto l’egida della SOI (Società di Ortoflofrutticoltura Italiana). Quest’ultimo, alla 5a edizione, è da sempre caratterizzato dall’attribuzione di un punteggio particolarmente alto alla resistenza ai patogeni, proprio nell’ottica di un giardinaggio moderno e sostenibile.
La SOI, oltre allo storico Roseto di Monza nato nel 1964, sede dell’Associazione Italiana della Rosa e che ha ospitato ben 51 Concorsi internazionali fino al 2015, ha censito il “Roseto della Sorpresa” (AT) dove in 40 anni sono state collezionate circa 500 fra specie e rose antiche europee da giardino. Un altro roseto con un patrimonio genetico immane, unico e prezioso è il Roseto Botanico Gianfranco e Carla Fineschi di Cavriglia (AR), dove sono presenti rose di tutti i gruppi botanici e soprattutto vi si trovano ancora ibridi costituiti a metà del secolo scorso, progenitori delle rose attuali, ma tolti dai cataloghi perché ormai superati. Camminando fra i vialetti è tangibile il lavoro di tanti ibridatori, molti dimenticati, ma che hanno contribuito al successo di questa pianta. Gestire un roseto non è facile, richiede competenza, tempo, interesse e una non trascurabile disponibilità economica. È comunque la passione di molti come dimostrano, fra i tanti, il terrazzato Roseto Vacunae Rosae presso La Tacita (Roccantica, RI), il ripristinato Roseto del Parco di Nervi (GE) e roseti che si fondono col paesaggio come il Museo Giardino della Rosa antica adagiato sulle argillose colline dell’Appennino modenese o l’emozionante Roseto diffuso del Giardino di Ninfa (LT) col suo naturale equilibrio fra piante e ambiente.
Inclusione sociale
Ma un roseto può essere anche altro. Ne è un esempio il Roseto del Parco di San Giovanni a Trieste, inaugurato nel 2009 e realizzato in un’area dell’ex ospedale psichiatrico. La sua particolarità non consiste nelle 5000 rose scelte da Vladimir Vremec, fra antiche, rare, moderne, dedicate a personaggi famosi o dalla storia singolare, ma nell’essere sede di una rete di imprenditoria sociale, di attività assistenziali, formative e inclusive per persone fragili, con disabilità. Qui lavorano e vengono valorizzate le risorse residue di persone in difficoltà nell’ottica dell’inclusione e del benessere psicofisico. Queste sono oggi le vere finalità di un roseto, dove il bello può curare le ferite della mente. Favorire il benessere fisico e mentale, lo sviluppo intellettuale e cognitivo e i legami sociali è parte integrate di quelli che vengono classificati come ‘servizi ecosistemici’ forniti dalle aree verdi, oggi tanto analizzati e valutati, ormai essenziali per giustificare un investimento nella realizzazione o nel mantenimento di un parco e di un giardino.
L’inclusione e il benessere di ragazzi con disturbi dello spettro autistico e, dove possibile, il loro coinvolgimento nello svolgimento di attività lavorative leggere, sono anche le principali finalità di un progetto di public engagement finanziato dall’Università di Bologna e da poco avviato presso il Roseto didattico sperimentale di Faenza (RA). Attraverso un percorso sensoriale, visivo, tattile e sonoro si vuole, infatti, stimolare l’interazione di giovani con autismo, associare momenti ludici all’attività motoria, incuriosire e divertire. Il Roseto acquisisce, così, la valenza di uno spazio verde aperto e accogliente e le rose, per la loro varietà di profumi, colori e forma dei fiori, per i legami storici con l’arte, come con la musica, costituiscono il materiale ideale per un’interazione dolce e stimolante fra le persone e con la natura.
È professore associato presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna, dove insegna Coltivazioni ornamentali e Progettazione spazi verdi. Ha realizzato la prima collezione di rose a fine anni ’80, è il curatore del Roseto didattico-sperimentale ‘Raffaele Bazzocchi’ di Faenza e dal 2020 è il responsabile dell’UNIBO International New Rose Trials.