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martedì, 2 Luglio 2024

Agricolture e territori: scopri le differenze  

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Importante strumento analitico, lo studio delle differenziazioni territoriali e delle relative classificazioni consente di comprendere i diversi modelli di agricoltura e di orientare le scelte di policy, indirizzandone l’attuazione rispetto alle esigenze locali. Approfondiamo insieme tutte le caratteristiche e le differenze fra aree svantaggiate, aree interne e aree rurali. 

Esistono diverse classificazioni che consentono l’analisi delle differenziazioni territoriali e delle relative implicazioni per gli imprenditori agricoli nei diversi contesti. Le differenti classificazioni rappresentano strumenti analitici importanti non necessariamente alternativi, ma utilizzabili in combinazione per comprendere i diversi modelli di agricoltura e orientare le scelte di policy, indirizzandone l’attuazione rispetto alle esigenze locali. 

Prenderemo qui in considerazione tre diverse mappature. Le prime due sono principalmente due classificazioni del territorio italiano, che mettono in luce i principali ostacoli allo svolgimento dell’attività agricola e zootecnica evidenziandone i limiti, gli svantaggi, ma anche le opportunità che le imprese italiane incontrano nei diversi contesti ambientali, a seconda delle specifiche caratteristiche  naturali, socioeconomiche, infrastrutturali e dei servizi. La terza individua le diverse tipologie di aree in relazione al ruolo delle attività agrosilvopastorali e alle principali caratteristiche demografiche che le contraddistinguono. 

Aree soggette a vincoli naturali significativi o ad altri vincoli specifici 

Si tratta di tutte quelle aree che storicamente sono definite come “zone svantaggiate” dove l’esercizio della pratica agricola è fortemente condizionato dalla presenza di limiti climatici, pedologici e morfologici. Questi fattori, unicamente derivanti dalla natura presente, rendono chiaramente più onerosa e difficile la permanenza delle realtà produttive nell’ambiente in cui operano, favorendo fenomeni di abbandono e spopolamento in assenza di forti motivazioni legate alle tradizioni da parte degli agricoltori, ma soprattutto in mancanza di politiche di sostegno adeguate a garantire il superamento dello svantaggio economico rispetto alle aziende attive nelle aree c.d. “normali”. 

Questa classificazione pone le sue fondamenta sulle regole dettate dalla Politica Agricola Comune (PAC) e identifica sostanzialmente tre categorie di aree: 

  1. le zone montane: caratterizzate da un periodo vegetativo nettamente abbreviato alle elevate altitudini in presenza di difficili condizioni climatiche, limitando di fatto la possibilità di utilizzo della terra e con costi considerevolmente levati; ad altitudini più basse la presenza di forti pendenze rende impossibile lo sfruttamento della meccanizzazione oppure impone l’impiego di materiale speciale molto oneroso.  
Comune montano di Leonessa (Rieti), di Luca Fraschetti 
  1. zone soggette a vincoli naturali significativi, diverse dalle zone montane: si tratta di porzioni di territorio identificate secondo una metodologia messa a punto da ciascun Stato membro sulla base dell’utilizzo di parametri biofisici – clima, suolo e pendenza – scientificamente definiti a livello comunitario.
  1. altre zone soggette a vincoli specifici: nelle quali il mantenimento dell’attività agricola è necessario per la conservazione o il miglioramento dell’ambiente naturale, per il mantenimento del potenziale turistico o per motivi legati alla protezione costiera.  
Comune di Positano (Salerno), di Luca Fraschetti

Le imprese che operano in tali contesti godono di una particolare attenzione nell’ambito di diverse politiche di sostegno nazionali e comunitarie. La PAC in particolare, con l’obiettivo prioritario di tutelare la presenza dell’agricoltura in tali zone ne promuove ed incentiva la permanenza attraverso misure di sostegno che compensino gli svantaggi, in termini di maggiori costi e mancati guadagni, che gli agricoltori devono affrontare per lo svolgimento delle attività agricole e di allevamento rispetto alle zone non colpite da vincoli naturali o specifici. 

Aree interne 

Le aree interne in Italia, come identificate dalla Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) – politica nazionale place based che finanzia strategie territoriali integrate sostenute da coalizioni permanenti di sindaci -, sono territori rurali distanti dai principali centri di offerta di servizi (salute, mobilità, istruzione)

Queste aree sono state perimetrate a partire da una mappatura del Paese basata su criteri di accessibilità ai servizi essenziali, attraverso un processo di istruttoria pubblico, che prevede l’utilizzo di una vasta batteria di indicatori (open kit) e un confronto informato tra Centro, Regioni e territori. Con questo metodo sono state individuate, come aree di intervento della policy, 123 Aree Progetto (67 confermate dal periodo di programmazione 2014-20, 56 selezionate per questo periodo di programmazione) (figura 2) che comprendono 1.860 comuni con circa 4,4 milioni di abitanti. 

  

Si tratta di zone periferiche composte per la gran parte da comuni montani, che hanno subito negli ultimi decenni forti fenomeni di spopolamento e abbandono della superficie agricola. Sono aree soggette a maggiori rischi di spopolamento, ma ricche di risorse ambientali e naturali. Qui l’agricoltura svolge ancora un ruolo di presidio essenziale

Le aziende agricole di queste aree sono caratterizzate da fragilità economica e da particolare difficoltà nel costruire reti. La pastorizia e la piccola agricoltura, tuttavia, non sono qui semplicemente una fonte di reddito, ma sono alla base delle identità culturali di questi territori, elemento strutturante delle relazioni sociali dentro alle comunità e dei rapporti dell’uomo allevatore e contadino con gli ecosistemi.  

Allevamento di vacche al pascolo, Geraci Siculo, area SNAI Madonie, di Daniela Storti 

Un paradigma di produzione la cui evoluzione non è stata tradizionalmente guidata dal mercato, ma dall’esigenza di prodursi i propri alimenti in un’ottica in qualche modo agroecologica. Con al centro il rapporto con la comunità e una relazione di equilibrio con gli ecosistemi come legge fondamentale di sostenibilità. La connessione tra processi produttivi e processi sociali, l’empatia tra uomo e ambiente e la capacità di chiudere il ciclo della produzione e riproduzione delle risorse naturali sono tratti distintivi, che hanno a lungo caratterizzato l’agricoltura di queste aree. Il rispetto dell’equilibrio degli ecosistemi, che è fondamentale per garantire la continuità e la stabilità della produzione di cibo, è incorporato nelle pratiche tradizionali e nei saperi non codificati tramandati per generazioni

Questo paradigma si deve confrontare con il perseguimento di obiettivi di redditività da realizzare attraverso nuovi modelli di vendita e l’integrazione tra agricoltura e turismo rurale piuttosto che attraverso l’aumento delle quantità prodotte. In questo modo si può preservare l’ancoraggio culturale a un paradigma di produzione proprio di queste aree, senza perdere di vista che le produzioni agricole in questi territori non sono e non saranno mai quantitativamente confrontabili con quelle delle zone di pianura e non è necessario che lo siano. 

Aree rurali

Una terza classificazione utile per la lettura delle differenze territoriali è quella delle aree rurali, utilizzata per la territorializzazione degli interventi della PAC. La classificazione attualmente vigente utilizza come base di riferimento il livello comunale e individua quattro macro-tipologie di aree: a) Aree urbane e periurbane, b) Aree rurali ad agricoltura intensiva, c) Aree rurali intermedie e infine d) Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo. 

L’individuazione delle diverse tipologie di aree utilizza indicatori semplici (densità abitativa e incidenza della superficie agro-forestale) calcolati per zona altimetrica in ciascuna provincia (dunque per aggregati di comuni).  

Il sistema agricolo si presenta fortemente differenziato a livello territoriale nell’ambito delle diverse tipologie di aree. Nelle zone urbane e periurbane (aree A), l’agricoltura svolge una funzione produttiva ridotta, limitandosi ad occupare territori di corona attorno ai grandi centri urbani che, a loro volta, rappresentano mercati di consumo (a corto raggio) potenzialmente capaci di assorbire anche produzioni agro- alimentari di elevata qualità. 

Le aree rurali con agricoltura di tipo intensivo e specializzato (aree B) rappresentano la parte “centrale” del sistema agro-industriale nazionale. Collocate essenzialmente nel centro-nord del Paese, sono densamente popolate e presentano una forte specializzazione produttiva, con filiere territoriali di tipo agro-industriale e, in determinati casi, con una organizzazione tipicamente distrettuale. Si collocano fondamentalmente nei territori maggiormente produttivi di pianura e in alcune aree di collina

Le aree rurali intermedie (aree C) presentano un certo livello di diversificazione delle attività economiche e sono sede di sviluppo diffuso, in particolare quello più inserito nei processi di diversificazione extra-agricola. L’industria agro-alimentare in queste aree risulta comunque rilevante. 

Caselle in Pittari, comune ricadente in area rurale con problemi di sviluppo (aree D), di Daniela Storti 

Le aree rurali con problemi di sviluppo (aree D) sono le zone meno densamente popolate del Paese. Esse si concentrano prevalentemente nell’arco appenninico e alpino o comunque in aree di montagna e di collina delle regioni meridionali e insulari. Complessivamente queste aree ricoprono il 46%  della superficie nazionale. La presenza di un’agricoltura diffusa di tipo estensivo e la grande varietà di habitat naturali arricchiscono queste aree di una particolare importanza sotto il profilo ambientale. È in questi territori che è concentrato infatti il 69% delle superfici protette italiane. Le zone D sono caratterizzate da scarsa presenza di processi di sviluppo locale in tutti i settori e da un basso livello di diversificazione del sistema economico, eccessivamente dipendente dall’attività agricola e dal turismo, che spesso assume connotati di stagionalità.  

Daniela Storti
Ricercatore senior CREA Centro Politiche e Bioeconomia

PhD in Istituzioni Agricoltura e Sviluppo Economico, Economista dello sviluppo, si occupa di analizzare i problemi socioeconomici delle aree interne e montane, studiando le strategie e le politiche di sviluppo, con particolare attenzione alla politica agricola e rurale.

#lafrase Il confronto è alla base dell’evoluzione

Luca Fraschetti
Ricercatore CREA Centro Politiche e Bioeconomia

Economista con esperienza pluriennale nelle politiche di sviluppo afferenti al settore agricolo e agroalimentare

#lafrase È impossibile avere una società sana senza un giusto rispetto per la terra (Peter Maurin)

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